donne chiesa mondo - n. 74 - dicembre 2018
DONNE CHIESA MONDO 24 DONNE CHIESA MONDO 25 T RA FAME E GUERRE COMMERCIALI Contro il mito del chilometro zero di C ARLO T RIARICO P ossiamo essere sicuri del cibo che mangiamo? Il commercio di pro- dotti alimentari dominato dalle grandi multinazionali, che determina- no le politiche e i prezzi, delocalizza e appiattisce gli alimenti, trat- tandoli come materie prime anonime, merci per le lunghe catene del- le produzioni industriali di cibo. I grandi viaggi e le vaghe vie com- merciali che vanno dal campo alla tavola, in cui troppi attori traggo- no guadagni, riducono le concrete garanzie di qualità, tracciabilità, controllo e sicurezza, collocando spesso ai due punti estremi del commercio contadini malpagati e cittadini malnutriti. Eppure, per az- zerare la fame, il cibo deve poter circolare e arrivare nei paesi dove e quando serve, con regole trasparenti ed eque. Le normative e i siste- mi di governo del commercio internazionale sono impreparati a con- trastare un fenomeno che non è di circolazione, ma di delocalizzazio- ne di portata mondiale degli alimenti e della loro produzione. Feno- meno che sta provocando nuova fame e nuovi conflitti, anche a causa della feroce sottrazione del cibo dai mercati reali, in assenza di rego- le, per usarlo là dove si fa denaro col denaro. buon gusto», rivelando come le buone maniere siano innanzitutto una questione di buon gusto. Nel mondo musulmano medievale, una cono- scenza dell’arte culinaria e di come intrattenere gli ospiti durante un banchetto non poteva esse- re trascurata dall’uomo di belle maniere. La ri- voluzione culinaria abbaside fu anche una rivo- luzione degli usi e dei costumi: la gastronomia, l’arte di saper ospitare con classe e di essere un commensale adeguato entrarono nel mondo del- le buone maniere che il musulmano deve posse- dere per essere educato e raffinato. Si diffuse così il filone religioso e letterario dei libri del galateo a tavola, ispirati dall’idea che una con- dotta appropriata verso il cibo e un buon com- portamento a tavola sono considerate forme di gratitudine e devozione, dal momento che il ci- bo riflette la dipendenza dell’uomo da Dio. Uno dei massimi esponenti fu al-Ghazali, teolo- go sufi dell’ XI secolo e autore del trattato di ga- lateo più famoso nel mondo musulmano. Se- condo al-Ghazali, a tavola va seguito l’esempio del Profeta: mangiare deve essere un’esperienza comunitaria e l’ospitalità è un dovere del buon musulmano; d’altronde, secondo un antico proverbio arabo, la fame è infedele. L’ospite va trattato con tutta la reverenza possibile: a mo’ di esempio, è preferibile che il padrone di casa metta a disposizione sedie confortevoli invece di aumentare la quantità del cibo offerto. Ancora oggi questo galateo fa parte del codice compor- tamentale dei musulmani ed è la vera anima della cucina araba. Prodigarsi in benedizioni e lusinghe nei confronti della padrona di casa fa parte del cerimoniale dell’ospite: «Che le tue mani siano benedette», per esprimere gra- titudine a chi ha preparato il pasto, «il tuo re- spiro nel cibo è speciale», suggerendo l’idea sufi del soffio vitale che si manifesta, in questo caso, in quello che si è cucinato, «possa la tua tavola essere sempre prospera» e «possa tu vivere a lungo», nutrendo, ancora una volta, corpo e spirito. “gusto” della realtà divina, fonte della vera co- noscenza. I sapori di questa realtà caratterizza- no il menù mistico proposto dal poeta persiano del XIII secolo Jalal al-Din al-Rumi, le cui pie- tanze sono metafora del fuoco ardente dell’amo- re divino: «Dal mio cuore, traboccante di gemi- ti, esala profumo di arrosto allo spiedo», o an- cora: «Il mio volto s’è fatto acre come i sottaceti dopo la dipartita dall’amata!». Metafore dal dubbio romanticismo agli occhi del lettore occi- dentale, ma pregne di significato in una cultura in cui l’atto di mangiare è simbolo del nutri- mento spirituale e l’atto di cucinare della lenta e misurata preparazione dell’adepto che si accinge ad avvicinarsi a Dio. Un’espressione usata al giorno d’oggi nell’arabo parlato per indicare una persona dai modi gentili è, tradotta alla lettera, «sei tutto
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