donne chiesa mondo - n. 74 - dicembre 2018

DONNE CHIESA MONDO 22 DONNE CHIESA MONDO 23 glorie, le sconfitte, gli amori e le pene del pas- sato. Il principale fattore che ha segnato l’evolu- zione della gastronomia nell’area che va dal Marocco all’Iran è stato la diffusione dell’islam: il cibo è una delle più grandi benedizioni divine e, in una civiltà teocentrica come quella musulmana, è stato oggetto di riflessioni religio- se e mistiche, oltre a rappresentare il fulcro di una cultura materiale basata sull’esaltazione del piacere dei sensi. La cultura del gusto è il risul- tato della confluenza di tradizioni e suggestioni diverse; complessità, raffinatezza e convivialità sono le sue principali componenti. L’incanto degli accostamenti dei sapori, come è stato defi- nito da Farouk Mardam-Bey, editore siriano e arguto scrittore di storia della cucina araba; tra le sue opere annoveriamo il Trattato dei ceci , che restituisce a uno dei legumi più bistrattati in tutto il Mediterraneo la sua dignità storica e po- polare. Fa’ silenzio, perché le mandorle pralinate e il marzapane sono in preghiera; il marzapane invoca Dio, il torrone dice “Amen”. Jalal al-Din al-Rumi L’ arte culina- ria ha se- gnato molti ambiti della vita sociale, culturale e religiosa nel mondo isla- mico, dove le pietanze portano in sé secoli di cultura, arte e tradizioni popolari. Una cucina forgiata da una storia tur- bolenta, le cui vivande contengono i trionfi, le Questioni di buon gusto N EL MONDO MUSULMANO Prendi, o intenditor di cibi fini, due ron- delle di pan di frumento, Del tipo che non ne ho mai visto pari, e scrostane l’orlo da ogni canto, Finché non rimanga che tenera mollica, e su di una di esse disponi fettine Di carne di pollo e di galletto, e intorno sciroppo con soffio fine. E righe di mandorle posavi sopra, alternate a righe di noci, E punti diacritici con formaggio e olive, di menta ed estragone i tratti vocalici. Quanto è sontuosa questa descrizione di un panino farcito, opera del poeta Ibn al-Rumi il cui ripieno è stato disposto con maestria tale da ricordare la fine calligrafia araba, massima espressione dell’arte sacra musulmana. Le ricette presentate nei libri di vivande sono animate da una filosofia di vita i cui fondamenti erano la scoperta di nuovi ingredienti, la cura e l’equili- brio nel sapore e nel consumo. Nell’islam me- dievale, il gusto è il massimo dei piaceri: è solo nel corso di un banchetto che i cinque sensi sembrano confluire in un processo vitale a tutto tondo. L’approccio al banchetto, visto come esperienza sensoriale e cognitiva completa, era impregnato di una filosofia umanistica in cui vi era un equilibrio tra pietanza e parola: è raro trovare una tradizione che abbia reso le pietanze soggetti ispiratori della parola lirica come quella araba. La squisitezza e il ventaglio dei sapori messi a disposizione da Dio all’essere umano hanno stimolato anche l’appetito dei mistici, per i qua- li il cibo è dono ed espressione dell’amore divi- no. Dhawq , il termine arabo che indica il gusto, cioè la sensazione di assaggiare un sapore o, in senso più ampio, qualcosa, e farne una valuta- zione, è un concetto che nei trattati sufi indica- va l’intuizione mistica, cioè la conoscenza diret- ta di Dio e dell’invisibile attraverso l’esperienza sensoriale. Il sufi è chiamato a passare dall’este- riorità delle forme dell’esperienza personale al Nel mondo musulmano medievale, il simpo- sio incarna il luogo dove il cibo stimola l’intel- letto, una manifestazione di sapienza condivisa che lega spirito e corpo. L’illustre storia della cucina araba, che tanto ha influenzato quella europea, ha avuto il suo apice nell’impero abba- side, ha assimilato nuovi ingredienti durante l’epoca della dominazione andalusa e si è arric- chita grazie alla mescolanza di popoli e gruppi etnici di varie fedi inglobati nell’impero ottoma- no. Cucinare poteva essere un mestiere degno di nota: secondo le cronache storiche, «il fonda- tore del Cairo era un pasticciere». Nella Bagh- dad abbaside, centro mondiale di raffinatezza e cultura, convivi e opulenti banchetti erano una manifestazione dell’agiata vita di corte e di uno stile di vita che faceva del palato uno dei princi- pali luoghi del piacere terreno, piacere legitti- mato dalla parola di Dio. Questa cucina era il prodotto di tradizioni culinarie eterogenee, co- me quella greca, persiana, indiana, assorbite lungo le terre dominate, con mercanti che con- fluivano dal Mediterraneo e dall’estremo oriente con i loro prodotti e le loro spezie. L’apogeo della storia culinaria araba risale a un mondo in- ternazionalizzato e cosmopolita, aperto alla co- noscenza e agli scambi, in cui la creatività nel combinare gli ingredienti mirava a stuzzicare il palato e l’intelletto: la gastronomia divenne un’arte letteraria, tanto che la più ricca letteratu- ra culinaria del mondo è quella araba medievale. Il cibo era oggetto di interesse delle classi su- periori della società abbaside. I califfi incarica- vano di inventare nuove portate, di dedicare poesie ai cibi e di cantarne le lodi in riunioni che divennero leggendarie, come quella raccon- tata dal poligrafo al-Masudi nel X secolo. Un giorno, il califfo al-Mustakfi chiese ai suoi corti- giani di recitare versi dedicati a vari tipi di pre- libatezze, facendo servire di volta in volta tutto ciò che veniva elogiato, fino ad arrivare a de- cantare versi senza pensare più ad assaporare vi- vande, ma solo parole. di A RIANNA T ONDI

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