donne chiesa mondo - n. 73 - novembre 2018
DONNE CHIESA MONDO 30 DONNE CHIESA MONDO 31 ( èidon , io vidi, òida , io so), per cui anche il concetto è pensato come visione interiore ( èidos , idea). Ricordiamo come la Metafisica di Ari- stotele si apra con l’affermazione: «Tutti gli uomini per natura amano la conoscenza, e ne è segno evidente la gioia che provano nelle sen- sazioni, e più delle altre è amata quella che si esercita mediante gli occhi. Infatti noi preferiamo la vista a tutte le altre sensazioni. E il motivo è che il vedere, più di ogni altra sensazione, ci fa acquistare conoscenza e ci presenta, senza mediazione, una molteplicità di diffe- renze». Come non pensare al vangelo di Giovanni con la richiesta dei greci a Filippo («vogliamo vedere Gesù»), con la domanda di Fi- lippo a Gesù («mostraci il Padre») e la inquietante risposta di Gesù: «Chi vede me, vede il Padre». Marco Vannini riflette che proprio nel vangelo di Giovanni — in cui si afferma la nozione di Dio come Spi- rito, che non si adora né nei templi né sui monti, ovvero, in sostanza, che non sta in immagini e rappresentazioni, e dunque non si può neppure vedere, o comunque esperire attraverso sensazioni — è pre- sente anche l’idea che lo Spirito non sia un’esangue, impalpabile, in- distinta entità, ma si manifesti invece nell’umano, e in tutto il creato, giacché il Lògos, che è Dio, e in cui tutte le cose sono state fatte, si è incarnato, ha posto la sua dimora tra noi. Uno dei testi più noti di Eckhart afferma: «L’occhio nel quale io vedo Dio è lo stesso occhio in cui Dio mi vede; l’occhio mio e l’oc- chio di Dio non sono che un solo occhio, una sola visione, una sola conoscenza, un solo amore» ( Sermone 12). Vedere, conoscere e amare sono qui strettamente legati, anzi sono un medesimo atto. È lo sguardo mistico di Caterina da Siena: intelligenza e amore due occhi dell’anima, che alimentano lo sguardo “semplice”, secondo la nota immagine, ripresa dai medievali. Per dirla con Montale, la parola di Caterina è come un «lampo che candisce», più sguardo che parola. Il suo dire apre visioni, c’in- troduce nella vertigine in modo inatteso, quasi una sorta di deflagra- zione accecante, uno squarcio nella notte, una luminosa ferita nella tenebra. Uno sguardo da vertigine, suggerisce Kierkegaard: chi volge gli occhi al fondo di un abisso è preso dalla vertigine. Ma la causa non è meno nel suo occhio che nell’abisso: perché deve guardarvi. Così l’angoscia è la vertigine della libertà, laddove essa guardando giù nella sua propria possibilità, afferra il finito per fermarsi in esso. In questa vertigine la libertà cade. Lo sguardo di Caterina fa intrave- dere, intuire ciò che si è e ciò che si è chiamati a essere: introduce nella vertigine dell’ actus fidei , che pur sanando in qualche modo l’an- goscia dell’essere, lascia sospesi in una sorta di fisicità spirituale sul senso dell’abisso. Non ci troviamo dunque innanzi a una immediatezza indiscreta, a una semplicistica e soporifera eliminazione dell’infinita distanza, ma piuttosto in uno sguardo che diventa affidamento senza condizione; uno sguardo che pur attraversando quell’infinita distanza non elimi- na il senso dell’abisso. Caterina ci introduce con il suo vedere nelle punte alte dello spiri- to umano, là dove la fede non è solo commozione estetica o impulso immediato del cuore, ma paradosso dell’esistenza. Ella vive lo sguar- do nella nudità della fede e ci spinge a “vedere” lo spessore infinito della differenza qualitativa: è la quaestio cateriniana, «il rapporto di questo Dio e questo umano, il rapporto di questo umano e questo Dio». A Caterina è dato uno sguardo che la fa partecipe di tanto miste- ro. Ossia Caterina «viene posta in attenzione a una presenza»: è la passività mistica, nel senso che il mistico subisce questa presenza, non la produce. Passività, non passivismo, percezione chiara della presenza di qualcuno verso il quale si è posti in attenzione nella tota- lità dell’essere. Non si tratta necessariamente di una visione o di un’estasi, ma di uno sguardo di partecipazione allo sguardo divino. E san Tommaso afferma: Actus fidei non terminatur ad enunciabile sed ad rem . Nello sguardo mistico viene rivelato a Caterina l’evento di grazia nascosto nelle umanissime vicende della vita in cui si invera che «amore è forte come morte, una scintilla di Yah». Così nella lettera a fra Raimondo da Capua: «Scrivo a voi racco- mandandomi nel prezioso sangue del Figliolo di Dio, intriso con fuoco dell’ardentissima carità sua. Andai a visitare colui che voi sape- te [un giovane perugino, Niccolò da Toldo, che era stato arrestato a Siena e, accusato di spionaggio a favore di Perugia, dopo un breve processo, era stato condannato a morte mediante decapitazione] e elli ricevette tanto conforto e consolatione che si confessò e disposesi molto bene. E fecemisi promettare per l’amore di Dio che, quando venisse il tempo della giustizia, io fusse con lui, e così promisi e feci. Era quella volontà accordata e sottoposta alla volontà di Dio; solo v’era rimaso uno timore di non essere forte in su quello punto: Sta’ meco e non m’abandonare, e così non starò altro che bene, e morrò contento! E teneva el capo suo sul petto mio. E diceva: Io andarò tutto gioioso e forte, e parrammi mille anni che io ne venga, pensan- do che voi m’aspetterete ine; poi egli gionse, come uno agnello man- sueto, e, vedendomi, cominciò a rìdare, e volse che io gli facesse el segno della croce; e, ricevuto el segno, dissi: Giuso alle nozze, fratel- lo mio dolce, ché testé sarai alla vita durabile! Posesi giù con grande mansuetudine, e io gli distesi el collo, e chinàmi giù e ramentàli el sangue dell’agnello: la bocca sua non diceva, se non “Gesù” e “Cate- rina”, e così dicendo ricevetti el capo nelle mani mie, quel capo mi fu di tanta dolcezza, che il cuore nol può pensare, né lingua parlare, né l’occhio vedere, né l’orecchio udire. Allora si vedeva Dio e uomo, come si vedesse la chiarità del sole; e stava aperto e riceveva il san- gue; nel sangue suo uno fuoco di desiderio santo, dato e nascosto nell’anima sua per grazia; riceveva nel fuoco della sua divina carità. O, quanto era dolce e inestimabile a vedere la bontà di Dio, con quanta dolcezza e amore aspettava quella anima partita dal corpo». Esperienza mistica come sguardo saporoso dell’amore: amor ipse notitia est (Gregorio Magno).
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