donne chiesa mondo - n. 73 - novembre 2018
DONNE CHIESA MONDO 14 DONNE CHIESA MONDO 15 gonisti delle storie, senza alcuna pretesa di dominare i significati al- trui, e con la capacità di sentire l’altro. Nel nostro mondo, così pieno di armi di distrazione di massa, quello che vediamo, nella nostra quotidianità, quali sentimenti e qua- li emozioni ci fa provare più spesso? A quali sentimenti ed emozioni ci educa con maggiore forza? Quello che vediamo cosa tende a evo- care, a farci ricordare delle nostre storie o esperienze di vita? Mettere in relazione ciò che vediamo con le emozioni suscitate permette di non lasciare semplicemente passare la vita, ma di assaporarla, di fer- mare nel tempo ciò che si sente. C’è infine qualcos’altro che forma con prepotenza uno sguardo: i nostri saperi di riferimento. Ci sono saperi famigliari, che derivano da esperienze, e poi ci sono i saperi disciplinari, ovvero le teorie che più assiduamente frequentiamo. Questi saperi disciplinano ciò che “dobbiamo” vedere, ciò a cui “dobbiamo” la nostra priorità, e anche quello che “possiamo” lasciare sullo sfondo, o non vedere. Per far ca- pire meglio cosa intendo, vorrei riportare un fatto accaduto nel mio lavoro in una scuola. Qualche tempo fa ho ricevuto degli insegnanti, peraltro tra i più sensibili, preoccupati perché un ragazzo continuava ad addormentarsi in classe, e del fatto che — nonostante i suoi voti fossero buoni — questo doveva derivare da un problema, probabil- mente neurologico o psicologico, di una certa gravità. D’accordo con la preside, ho immediatamente convocato il ragazzo, peraltro partico- lare e simpatico, e gli ho chiesto con semplicità come mai fosse così stanco a scuola. E lui mi ha altrettanto semplicemente spiegato che aveva un grande sogno sportivo e che in quel periodo si stava alle- nando in modo particolarmente duro per riuscire a realizzarlo. Agli insegnanti non era venuto in mente di chiedergli perché fosse così stanco! Nessuno può mettere in dubbio la preziosità di tanti studi. Tutta- via, nel mio lavoro mi ritrovo sempre più spesso a dover mettere in connessione l’umanità dei singoli insegnanti con l’umanità dei ragaz- zi. Non ho timore di confessare che spesso, più di alcune teorie, nell’ascolto di tanti ragazzi e ragazze, e anche di tanti bambini e bambine, mi sono fatta guidare da queste parole di fratel Roger di Taizé: «È essenziale cercare di capire l’insieme di una persona, grazie ad alcune parole o qualche atteggiamento, piuttosto che con lunghe spiegazioni. Non basta condividere ciò che fa violenza nell’intimo di un essere. Occorre ancora ricercare il dono specifico di Dio in lui, perno di tutta la sua esistenza. Una volta messo in piena luce questo dono, o questi doni, si aprono delle strade». Partire dai doni: attitu- dini, passioni, talenti. Persino per aiutare laddove vi sia una difficol- religiose femminili. Vengono accolte donne che hanno già ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiate in Italia o che potrebbero regolarizzare la loro condizione migratoria. Nelle due case (in via della Pineta Sacchetti e in via Michele Mercati) le ospiti possono rimanere per un periodo che va da sei mesi a un anno, fino a che non abbiano raggiunto una completa autonomia e integrazione. Al momento sono accolte 17 donne e 7 minori. «L’intenzione — ha spiegato suor Eleia Scariot, scalabriniana, coordinatrice del progetto — è quella di sostenere le donne nel loro percorso di integrazione e valorizzazione professionale. La base è il riscatto della speranza: queste donne ricevono aiuto e accompagnamento umano e professionale, vivendo esperienze di convivenza, di divertimento e di spiritualità che siano rivitalizzanti per riscattare la stima di loro stesse, spesso ferita durante il loro viaggio migratorio. Allo stesso tempo >> 18 >> 8 tutto ciò che ci impedisce di vedere l’altro per intero, nella sua intera umanità: le insensibilità di visione alle quali lentamente veniamo for- mati; le nostre paure; i pregiudizi su ciò che è giusto e sbagliato; al- cune idee sull’altro che cerchiamo più di confermare che di sfatare; e persino i saperi alla “luce” dei quali siamo così pronti a pensare di aver capito l’altro... Una trave, insomma, che non è mai tolta una volta per tutte, che cambia forma a seconda dei momenti della vita, e che richiede dunque una vigilanza continuamente rinnovata. Ma la buona notizia è che ogni trave, nel momento in cui le prestiamo at- tenzione, si può rimuovere. E ci è sempre dato di poter riguardare il mondo, gli altri e noi stessi, con maggiore libertà. tà. Aprire lo sguardo, anziché chiu- derlo, e aprire così la speranza. Quando ci accorgiamo che il nostro modo di vedere si sta cri- stallizzando o tende a fermarsi sempre sulle stesse cose, quando ri- petiamo sempre le stesse parole per descrivere le situazioni e non riu- sciamo a uscire dai soliti schemi, non c’è antidoto migliore che leg- gere o studiare il vangelo, ma po- nendogli domande estremamente concrete. La pedagogia aiuta a vi- gilare sulle strutture che condizio- nano, o determinano, l’esperienza, ma il vangelo non lascia scampo sul non perdere di vista le radici della nostra umanità, e sul baricen- tro da tenere presente in ogni azio- ne umana: un rapporto vero con se stessi e con il mondo. Nel vangelo troviamo scritto: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? (...) Togli prima la trave dal tuo occhio e al- lora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fra- tello». C’è da chiedersi se questa trave non sia (come a volte si inter- preta) un male più grande com- messo da noi rispetto all’altro, ma Margaret Keane «Gioia abbondante» (2013)
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