donne chiesa mondo - n. 72 - ottobre 2018

DONNE CHIESA MONDO 30 DONNE CHIESA MONDO 31 Cristo: «A fare il cristiano — riflette Bonhoffer — non sono i riti reli- giosi, ma il partecipare alla sofferenza di Dio». Papa Francesco non si accontenta di prendere atto che la Chiesa è stata messa in ginoc- chio dalle circostanze. In fedeltà al suo ministero chiede a tutti i fe- deli, come popolo santo di Dio che sa di essere non una società più o meno perfetta, ma il corpo di Cristo, di mettersi spontaneamente in ginocchio per riconoscere i suoi errori. La Chiesa nell’umiltà e nel- la verità di Cristo si cosparge il capo di cenere, per far sì che la soffe- renza inflitta si trasformi in appello alla conversione. Giovanni il testimone scrive: «Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magda- la». Le donne al Calvario guardano e si interrogano: intelligenza e compassione si coniugano, caritas est sapientia et passio , in quella atti- tudine continuamente esercitata dalla madre che, secondo il racconto lucano, «da parte sua custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». E noi donne consacrate dove “stiamo” in quest’ora della Chiesa? Non si tratta di condividere l’ubriacatura querula delle parole e dei giudizi d’artificio e di superficie, si tratta di svegliare in noi, donne consacrate al cuore della Chiesa, la capacità di autogiudicarci per le trascuratezze che spesso hanno assunto e continuano ad assumere il peso di omissione umana ed ecclesiale. Frequentemente abbiamo scelto il silenzio che ci ha protette, ma anche accartocciate in sicurez- ze false e d’occasione. Ci siamo autorelegate nell’immagine diaconale, che pur generosa e necessaria alla vita della Chiesa, ha rallentato quella maturazione fe- conda che porta intelletto e coscienza a interrogarsi quid est veritas , e a darne voce per la comune edificazione della comunità ecclesiale. Spesso abbiamo alimentato la visione di Medea, preferito alimentare rancori e paure di fronte alle prevaricazioni subite, e a volte condivi- se, intorbidendo in questo modo l’acqua pura delle relazioni ecclesia- li, evitando cammini di conversione e purificazione, di propedeutica alla verità e alla trasparenza. Le donne consecrate per evangelica consilia hanno un potenziale umano, evangelico-carismatico di notevole valenza nella comunità ec- clesiale, ma nei processi positivi intravediamo anche possibili nostre omissioni che potrebbero assuefarci a un silenzio infecondo, privo di verità. Un silenzio come mero ossequio alle autorità, maschera che nasconde il volto, opportunismo e custodia di sicurezze, non ha voce di Vangelo. Più e più volte il magistero della Chiesa — almeno nelle parole dei documenti — ha invitato le consacrate a entrare decisamente in un processo di pensiero, di autocritica e di discernimento, ossia le ha esortate a essere soggetto attivo in reciprocità, per abitare con consa- pevolezza i tempi, gli eventi, l’umano e le culture; per scrutare gli orizzonti con saggezza e parresia: «La nuova coscienza femminile aiuta anche gli uomini a rivedere i loro schemi mentali, il loro modo di autocomprendersi» ( Vita consecrata 57 a). Non è una affermazione da poco, e si prosegue: occorre «stimolare la necessaria reciprocità all’interno della Chiesa» perché «ci si attende molto dal genio della donna» sia nel campo della fede, che dell’esperienza umana del valo- re della vita ( Vita consecrata 58 c). Nel tempo che ci è dato di attra- versare la Chiesa ci chiede intelligenza di visione, di pensiero fecon- do e solidale; ci chiede di essere voce sincera e amorevole che chiami a ricerca oltre gli orizzonti consueti; ci chiede di cimentarci in prati- che buone, in sinergia con tutte le componenti ecclesiali, secondo il Vangelo. Tutti siamo nel guado e occorre attraversarlo insieme, senza coper- ture farisaiche: la scelta feconda ci suggerisce di cominciare da noi stesse, singole e istituti, scegliendola vigile veglia nella notte, affinché possiamo camminare nella ricerca del vero: silenzio, parola. È tempo altresì della statio orante. Come Chiesa siamo consapevoli del nostro limite e della nostra finitudine, mentre attraversiamo il de- serto e la consolazione alla ricerca di Dio e dei segni della sua grazia, tenebre e luce. In questa statio orante si gioca la ribelle obbedienza della profezia della vita consacrata nella Chiesa che si fa voce di pas- sione ecclesiale per l’umanità. Pienezza e vuoto, come percezione profonda del mistero di Dio, del peccato e della grazia dell’umano. In questo tempo di conflitto e di denuncia è l’ora di pronunciare la parola di Maria, la Donna, come consapevole presenza nelle situa- zioni che accadono: «Durante quella festa di nozze a Cana di Galilea accadde che venne a mancare il vino, e Maria, la Madre di Gesù, lo fece notare a suo Figlio. Egli le rispose che non era ancora giunta la sua ora; ma poi seguì la sollecitazione di Maria e, fatte riempire d’ac- qua sei grandi anfore, trasformò l’acqua in vino, un vino eccellente, migliore del precedente» (Benedetto XVI , Angelus, 22 gennaio 2013). Alleniamo nella veglia lo sguardo e l’anima, alleniamoci a essere voce che sussurri o gridi, se necessario, che non hanno più vino, assi- curando che il migliore dei vini verrà (Francesco, Omelia, Guayaquil, 6 luglio 2015). Anche se è notte.

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