donne chiesa mondo - n. 71 - settembre 2018
DONNE CHIESA MONDO 28 DONNE CHIESA MONDO 29 basso», dallo stile di vita meno condizionato dalle convenzioni e, a suo parere, più spontaneo e autentico del personale subalterno rispetto a quello dei suoi familiari adulti. Fin da bambina Silvina studiò pittura e praticò disegno a Parigi con Giorgio de Chirico. Grazie a Borges, nel 1933 conobbe un giovane incontenibile, nove anni più giovane di lei, che poco tempo dopo avrebbe pubblicato quello che è considerato il migliore romanzo argentino di tutti i tempi, L’invenzione di Morel . Era Adolfo Bioy Casares, con cui Silvina si sarebbe sposata nel freddo in- verno del 1940. La rivista «Sur» riunì per anni un gruppo di amici intimi e scrittori di grande talento, se- gnando un’intera epoca in Argentina e nella let- teratura in lingua spagnola. In essa si distingue- vano soprattutto suo marito, Adolfo Bioy Casa- res, il suo grande amico Jorge Luis Borges, e sua sorella Victoria, direttrice della rivista. An- che per questo Silvina passò inosservata nel pa- norama letterario argentino, vivendo sempre all’ombra di queste tre grandi figure, relegata al ruolo di scrittrice consorte, di sorella fedele e di amica incondizionata. Quando nel 1937 pubbli- cò il suo primo libro di racconti, Viaje olvidado , l’onnipotente Victoria non poté non cedere alla tentazione di recensirlo sulla rivista «Sur». Vo- leva essere compiacente e invece fu lamentosa, voleva dimostrare che affrontava il rischio della parentela evitando gli elogi, e invece fu ingiusta e prepotente, esigendo dalla sorella una prosa che si adattasse all’ideale estetico del gruppo. Criticò il suo lavoro innovativo sul linguaggio, il suo stile impacciato, sostenendo che per «infi- schiarsene della grammatica» bisognava domi- nare prima le forme convenzionali. Silvina accu- sò il colpo — e non lo dimenticò mai — e cercò addirittura di adeguare la sua scrittura al “dover essere” indicato dalla recensione di Victoria. Ri- sultato di tutto ciò fu, nel 1948, Autobiografía de Irene , che alcuni considerano la sua opera più artificiosa e meno audace. C ONSACRATE « PER EVANGELICA CONSILIA » Giovane e consacrata D ue anni fa ho avuto il dono di vivere la mia settimana di esercizi spirituali presso il mo- nastero della Visitazio- ne di Santa Maria ad Ortì, luogo speciale non solo geografica- mente ma anche spiritualmente. La bellezza e l’incanto che si può ammirare da quella collina, che domina la città di Reggio Calabria, hanno caratterizzato di stupore e profondità quelle mie giornate di contemplazione, di distensione e di riposo. È necessario fermarsi nella vita per mettere ordine nelle proprie cose e curare lo sguardo. Un occhio miope o presbite non è un organo in salute. È opportuno perciò indossare lenti capa- ci di correggere e compensare la vista per poter vedere con meraviglia e attitudine contemplativa noi stessi, gli altri, il mondo e il mistero di Dio: «La salvezza sta nello sguardo» e «Lo sforzo grazie al quale l’anima si salva è simile a quello di colui che guarda, di colui che ascolta, a quel- lo di una sposa che dice sì. È un atto di atten- zione, di consenso» (Simone Weil). Ho imparato in quei giorni a cercare un pun- to di vista nuovo nella realtà e seduta sulle “gi- nocchia di Dio” tutto assume un significato di- verso: le gioie, le delusioni, l’amarezza, l’indiffe- renza, l’inadeguatezza, la fatica. Essere consa- crata oggi, come lo sono, è vivere sulla propria pelle l’anelito del mondo e quello di Dio, ed es- sere ponte tra le due libertà. È una bella sfida e una grande missione nella Chiesa oggi. Tale ricordo e consapevolezza mi ritorna chiaro in questo tempo, vigilia del sinodo sui di F RANCESCA P ALAMÀ Da quel momento in poi nella sua attivi- tà narrati- va, paral- lela alla poesia che coltivò co- me attività quasi separata, puntò sempre a trovare l’espres- sione originale e irriverente, sviluppando qualità che aveva dentro fin dall’inizio e infischiandose- ne di ogni classificazione. Al pari di Victoria, Silvina disarticolò i discorsi del potere maschile e sfidò i pregiudizi sul genere femminile, ma lo fece in modo diverso, cercando scorciatoie, sce- gliendo le “astuzie del debole”, facendo finta di non sapere, avvalendosi della tutela di Bioy, mi- metizzandosi nel gruppo per dissimulare la sua voce, nascondendosi dietro la sua immagine in- fantile per dire cose indecenti, per affermare i suoi desideri e i suoi odi più profondi. La timi- dezza le impediva di mostrarsi troppo spesso in pubblico, evitava la riunioni, non concedeva quasi interviste e non permetteva che la fotogra- fassero. La critica letteraria la ignorò sino alla fine degli anni ottanta, senza percepire la com- plessità, l’umorismo e l’originalità della sua ope- ra. Questo modo di vivere le permise però di costruire un universo in cui le parole e le imma- gini godevano di vita propria. Silvina Ocampo scrisse alcuni dei migliori racconti della letteratura argentina. Puntò so- prattutto a innalzare alla categoria di generi di prim’ordine la letteratura fantastica e quella po- liziesca. Copiosa fu anche la sua produzione poetica, dove aderì alla corrente che intendeva recuperare i modelli classici dell’antica poesia castigliana. Con i suoi due “punti deboli”, Bor- ges e Bioy, scrisse le famosissime Antologia della letteratura fantastica e Antologia della poesia argen- tina .
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