donne chiesa mondo - n. 69 - giugno 2018
DONNE CHIESA MONDO 6 DONNE CHIESA MONDO 7 puli , un riconoscimento dal basso che spesso conferisce autorità alle persone più umili. Ne è un esempio la diffusa venerazione per le sante, malgrado la presenza discreta delle donne nelle fonti scritte. La figura, certamente letteraria, di Su‘ûd, la maestra di Dhû l-Nûn morta nel 859 e descritta in questo numero da Francesco Chiabotti, cumula varie marginalità comuni ad altre figure di donne sante: non solo ex schiava e nera, ma ex cantante e cortigiana. Il ruolo attivo del popolo nella creazione dei santi non comporta necessariamente un conflitto con la teologia delle classi letterate. Co- me mostra più avanti l’articolo di Nelly Amri, la teoria della santità elaborata da Ibn ‘Arabi, che giustifica la possibilità per una donna di raggiungere il grado più elevato della santità e anche di essere profe- ta, ha fornito all’anonimo autore dell’agiografia della santa tunisina Mannûbiyya il quadro concettuale che gli permette di consacrare con un libro il culto di una «rapita in Dio» che aveva sfidato nella sua vita le regole della separazione fra i sessi, suscitando severe condanne da parte dei contemporanei. Il successo del sufismo fino al periodo moderno si deve proprio al suo ruolo di ponte tra fede popolare e teologia, e anche fra cultura profana e religiosa, immaginazione poetica e facoltà visionaria. Oltre che con l’indebolimento degli ampi strati della popolazione esclusi dai benefici della modernizzazione, il crepuscolo dei santi coincide con la crisi dell’autorità collegata nella cultura islamica alla nozione di santità. Tarbiya , il termine arabo per educazione, da un verbo che significa “allevare”, “far crescere”, è semanticamente vicino al latino auctoritas , derivato dal verbo augeo . Il carattere generativo della trasmissione della conoscenza è simboleggiato dall’allattamento. Il maestro sufi è infatti a volte rappresentato come una nutrice. Col- legata a un altro simbolo femminile è la capacità del Profeta di acco- gliere con un cuore vergine la discesa della Parola divina. Questa è secondo alcuni commentatori la spiegazione dell’epiteto ummî (più spesso inteso come “illetterato”) che gli è attribuito nel Corano (7,157). Nel suo commento su questo versetto, Baghawi (morto nel 1122) cita una tradizione che suggerisce che questa facoltà profetica è accessibile a tutti i credenti. Secondo questa tradizione, Dio annun- cia a Mosè l’avvento della comunità dei credenti musulmani, descri- vendoli così: «Metterò la mia Presenza Pacificatrice ( sakîna , equiva- lente dell’ebraico shekinah ) nei loro cuori, e loro reciteranno la Torah a memoria, leggendola nei loro cuori: la reciteranno l’uomo e la don- na, il libero e lo schiavo, il piccolo e il grande». ‘Abdallâh Ibn Mas‘ûd, il compagno del Profeta di umili origini a cui è stata riconosciuta una particolare autorità per la sua compren- «Layla e Majnun» (tappeto azero) A pagina 5 «Ahmad Ghazzali con un discepolo» (Gli incontri degli amanti, 1552)
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