donne chiesa mondo - n. 66 - marzo 2018

DONNE CHIESA MONDO 18 DONNE CHIESA MONDO 19 miche, ebbe la forza di assumere, come ha scritto Silvia Vegetti Fin- zi, «gli scarti, i margini del discorso, le cadute di intenzionalità, co- me oggetto d’indagine privilegiato» e di dare vita a uno stile cogniti- vo particolare, che eleva a fattore terapeutico la parola dei pazienti. Si stagliano, nei titoli degli scritti di Freud, le figure di altre prota- goniste: Anna O., Dora, nel ruolo di «co-autrici dell’impresa psico- analitica ai suoi esordi», donne che testimoniano del bisogno, ormai irrinunciabile, di divenire “soggetto”. L’ipotesi che si può quindi fare per comprendere la ragione di tan- ta insistenza nei romanzi citati sulla colpa connessa al desiderio fem- minile di far proprie aree tradizionalmente riservate agli uomini con- cerne il sospetto che gli uomini temessero il fatto che le donne ini- ziassero a muoversi sul terreno della libertà. Ma non basta. Ci si può infatti chiedere se, nell’intento esplicito di mantenere la donna nei ruoli a lei tradizionalmente assegnati, non possa essere accaduto che, in funzione di una trasformazione della femminilità invisibile ma continua e sicura, i romanzi citati non abbiano paradossalmente con- tribuito a ottenere l’effetto opposto a quello perseguito. La mia im- pressione è, in altri termini, che queste storie abbiano reso manifesti e possibili scenari prima impensabili come scelte di vita e perciò rese storie di trasgressione. Scenari di ambizioni, bisogni, desideri che, trovando accesso a un piano di “dicibilità”, ad esempio con Freud e con la psicoanalisi, hanno potuto iniziare a venire allo scoperto, tro- vando a quel punto il modo di declinarsi da storie di trasgressione in storie di formazione. Ma l’inconscio cambia molto più lentamente del conscio, e quindi è legittimo chiedersi quanto resta in noi donne, a nostra insaputa, di sensi di colpa, interiorizzati nei secoli, relativi alle attività extradome- stiche, stigmatizzate a livello sociale come vere e proprie trasgressio- ni? È per questo che le donne vivono nei confronti sia del lavoro che della famiglia un disagio che spesso ha il sapore della colpa? Mi spiego. Se a livello conscio la “normalità” (e, nel caso di ceti sociali meno abbienti, addirittura la necessità) è avere un lavoro e anche de- gli interessi fuori casa, può capitare (e molto spesso capita) che a li- vello inconscio la riprovazione connessa in passato a interessi e ambi- zioni extradomestici crei un disagio colpevolizzante: mi sento quindi in colpa se non ho nulla che mi porti nel mondo, dal momento che a livello conscio ritengo che la normalità sia avere un lavoro fuori casa. Ma, al contempo, mi sento in colpa se tale dimensione mi dis-trae (letteralmente mi es-trae) da quella che a livello inconscio ritengo es- sere per me donna la dimensione «normale». In tal senso, è il fanta- sma della riprovazione sociale che in un caso come nell’altro crea dell’autore campeggiando anche sulla copertina dei romanzi maschili. Ma Thérèse Raquin, Anna Karenina, Effi Briest vivono già nel titolo più volte dipendenti. Oltre che dal loro autore, anche dal cognome di un altro uomo: padre o marito. Così quei titoli finiscono per espri- mere una legge, sottolineando che non a caso l’etimo di “nome” è nòmos, cioè legge. E nel caso di questi romanzi femminili la storia è sempre di una trasgressione cui farà seguito la relativa condanna da scontare. Si impone a questo punto una domanda. Perché, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, si assiste a un tale proliferare di protagoniste che, uscendo dalle mura domestiche, in- cappano in una condanna sociale? Forse per via delle trasformazioni epocali indotte dalla rivoluzione industriale e dalla prima guerra mondiale, che ridefinirono sulla base di necessità materiali compiti e ruoli maschili e femminili. Infatti, proprio in quegli stessi anni le donne iniziavano a muoversi in aree tradizionalmente riservate agli uomini. Erano anche gli anni in cui Freud, un intellettuale ignoto, in condizioni di emarginazione in quanto esponente della minoranza ebraica, di oscura appartenenza sociale e in misere condizioni econo- nuovi e più articolati orizzonti, in una maturazione di prospettive che necessita di attenzioni e risposte; che si riconosca la possibilità per le donne di avvicinarsi al cuore della vita ecclesiale e che si attribuisca il dovuto valore all’autentico desiderio di partecipare a una ministerialità più attiva, compresa quella sacramentale. E che pertanto è legittimo e va nel senso del bene per la Chiesa intera iniziare a concepire risposte concrete in questo ambito. Non siamo dei sostituti d’azione, ma possiamo “inventare” forme nuove che arricchiscono la Chiesa. Non chiediamo posti di potere, ma di essere pienamente riconosciute come figlie di Dio e membri della comunità alla pari degli uomini». Per questo, proseguono le autrici, «siamo pronte a metterci al servizio della Chiesa con tre criteri: Assertività: non temiamo di proporre, di chiedere riconoscimento per ciò che facciamo e portiamo alla comunità; Libertà: il >> 21 >> 15 Auguste Rodin «Naiade» A pagina 16 Mikhail Vrubel, illustrazione per il romanzo ««Anna Karenina»

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