donne chiesa mondo - n. 66 - marzo 2018

DONNE CHIESA MONDO 14 DONNE CHIESA MONDO 15 in discussione il sistema, lo convalida e vi partecipa attivamente ac- cettando accordi svilenti per le suore». Suor Cécile ritiene anche che le religiose debbano prendere la pa- rola: «Da parte mia, quando vengo invitata a fare una conferenza, non esito più a dire che desidero essere pagata e qual è il compenso che mi aspetto. Ma, è chiaro, mi adeguo alle disponibilità di quanti me lo chiedono. Le mie sorelle e io viviamo molto poveramente e non miriamo alla ricchezza, ma solo a vivere semplicemente in condi- zioni decorose e giuste. È una questione di sopravvivenza per le no- stre comunità». Il riconoscimento del loro lavoro costituisce anche, per molte, una sfida spirituale. «Gesù è venuto per liberarci e ai suoi occhi noi siamo tutti figli di Dio» precisa suor Marie. «Ma nella loro vita concreta certe suore non vivono questo e provano una grande confusione e un profondo sconforto». Alcune religiose ritengono infi- ne che le loro esperienze di povertà e di sottomissione, a volte subite e a volte scelte, potrebbero trasformarsi in una ricchezza per tutta la Chiesa, se le gerarchie maschili le considerassero un’occasione per una vera riflessione sul potere. qualunque sia il servizio che offriamo. Le suore sono viste come vo- lontarie di cui si può disporre a piacere, il che dà luogo a veri e pro- pri abusi di potere. Dietro tutto ciò c’è la questione della professio- nalità e della competenza che molte persone fanno fatica a riconosce- re alle religiose». Suor Cécile poi aggiunge: «Al momento lavoro in un centro senza contratto, contrariamente alle mie consorelle laiche. Dieci anni fa, nel quadro di una mia collaborazione con i media, mi è stato chiesto se volevo davvero essere pagata. Una mia consorella anima i canti nella parrocchia accanto e dà conferenze di quaresima senza ricevere un centesimo… Mentre quando un prete viene a dire la messa da noi, ci chiede 15 euro. A volte la gente critica le religiose, il loro volto chiu- so, il loro carattere…. Ma dietro tutto ciò ci sono molte ferite». Per suor Marie, si tratta di violenza simbolica: «È accettata da tutti sotto forma di tacito consenso. Alcune suore che vengono da me sono an- gosciate, ma non riescono a parlare. Allora dico loro: “Avete il diritto di dire la verità su quel che provate. Di dire alla vostra superiora ge- nerale quello che vivete e come lo vivete”. Talvolta di questa situazio- ne è responsabile anche la superiora generale che, lungi dal mettere abbiamo sperimentato e sperimentiamo nelle comunità cristiane e dall’altro rappresenta una dichiarazione d’intenti riguardo al come vogliamo agire nella Chiesa, più ancora che al cosa fare». Dopo la pubblicazione, è stata data la possibilità di firmare anche a quanti seguono la pagina facebook del progetto: in un paio di giorni le firme sono triplicate. Evidentemente il messaggio, chiaro e argomentato, ha colto nel segno. Precise sono le richieste che il manifesto avanza. «Chiediamo: rispetto nei confronti del nostro impegno, la possibilità di esprimere un servizio coerente con le nostre competenze e capacità; che i presbiteri ai quali le nostre comunità sono affidate conoscano e apprezzino il femminile, che abbiano un rapporto sano e sereno con le donne, che siano persone psicologicamente mature; che si prenda in considerazione che la ricerca vocazionale femminile ha aperto >> 19 >> 12

RkJQdWJsaXNoZXIy