donne chiesa mondo - n. 63 - dicembre 2017
DONNE CHIESA MONDO 14 DONNE CHIESA MONDO 15 che ci attraversa. Il suo corpo, crogiuolo di materia e forma, parla due linguaggi: quello impersonale della Vita senza aggettivi e quello simbolico della vita di relazione, della storia, della genealogia fami- liare, della bio-grafia che rende ciascuno un essere inconfrontabile e insostituibile. Gli uomini che la fronteggiano muti, il volto oscurato dalla celata dell’elmo, temono la potenza di chi non ha paura per il solo motivo che si trova dalla parte giusta e, non sapendo come reagire, sono ten- tati di piegarla con la violenza che pertiene al loro genere, quella ses- suale. In fondo le donne sono sempre state messe a tacere con la pre- potenza del più forte. E nulla sembra essere cambiato stando alla tra- gedia del femminicidio che insanguina, dopo le tragedie del passato, un secolo che avrebbe voluto essere diverso. Eppure qualche cosa sta accadendo. Di fronte alla coraggiosa esibizione di un corpo femminile che s’immola in nome dei valori in cui crede, per un momento, almeno per un momento, lo spazio si contrae, il tempo si ferma e, sulla con- citata, rumorosa scena del conflitto cala il severo silenzio del sacro. All’improvviso un vettore verticale scende a interrompere l’orizzonta- le, meccanico, ritmico, procedere del tempo cronologico. Un’inten- zionalità altra chiede tregua al precipitare degli eventi, alla imponde- rabile deriva dell’obbedienza obbligata, subita, mai pensata, come quella imposta agli eserciti. Null’altro che un limite simbolico, una sospensione inattesa, ana- loga alla tensione spasmodica dell’equilibrista sospeso sulla corda che oscilla, ma è proprio in quell’intervallo del tempo e dello spazio che l’attesa cede il posto all’inatteso lasciando libero accesso alla speran- za. Che cosa può fare il singolo, posto di fronte a eventi che non controlla, se non testimoniare? Lei potrebbe parlare, suggestionare, convincere, sventolare una bandiera, proporre uno slogan. Invece il più delle volte preferisce af- fidarsi allo sguardo e al gesto, come conviene alla fase perinatale, al morte conserviamo l’impronta di questa esperienza. Non a caso la prima e l’ultima parola sono appunto “mamma”». Nella plurisecolare iconografia della Madonna, che ha plasmato l’inconscio femminile, l’immagine di Gesù bambino e di Cristo depo- sto dalla Croce, l’uno in braccio, l’altro in grembo alla Madre, si ri- chiamano specularmente, come la Vita e la Morte. Questo non significa che tutte le donne debbano essere madri ma che tutte sono potenzialmente tali, portatrici di un messaggio genera- tivo che può essere negato o espresso in vari modi. Uno di questi è promuovere la giustizia e la pace, come testimo- niano le Donne in nero e le Madri di Plaza de Mayo. Là madri di fi- gli da strappare alla morte e all’oblio, qui donne che difendono la vi- ta e i diritti di tutti, donne che, contro la prepotenza del più forte, chiedono il riconoscimento di un altro diritto, quello della vita. A che titolo si attribuiscono questo potere? In virtù del corpo materno, della sua conformazione, della sua funzione. Un corpo cavo predisposto per recepire, contenere, nutrire il figlio e infine, come osserva Cacciari in Generare Dio , per parteci- pare simbolicamente al suo stesso andar via, fuori, lontano, al suo esodo da lei. La madre è l’unico tiranno che emancipa spontaneamente il suo suddito, l’unico padrone che libera volontariamente il suo schiavo, l’unico carceriere che apre le porte al suo prigioniero. Un “lasciar andare” che non rinuncia mai alla responsabilità e alla disponibilità. Ma non solo, il corpo materno ha rappresentato per secoli, prima che il meccanicismo della modernità soppiantasse il vitalismo antico, la potenza della Madre Terra. Una metafora che connette la genera- zione dei figli alla raccolta delle messi, il ciclo della fecondità umana con il ritmo astrale dell’universo. La donna che offre e chiede Pace si presenta come simbolo della natura che ci contiene e della natura
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy