donne chiesa mondo - n. 63 - dicembre 2017
DONNE CHIESA MONDO 12 DONNE CHIESA MONDO 13 di S ILVIA V EGETTI F INZI V iviamo in un mondo dominato dall’angoscia del presente e dalla pau- ra del futuro, un mondo dove l’individualismo competitivo ha can- cellato la cifra del materno, la relazione che ci fonda. Come scrive il grande psicoanalista inglese Donald W. Winnicott: «Mi sembra che nella società umana qualcosa vada perduto. I bam- bini crescono e diventano a loro volta padri e madri ma, nel com- plesso non crescono nella consapevolezza di ciò che le loro madri hanno fatto per loro all’inizio della vita (…) Ma non è proprio per- ché è immenso che questo contributo della madre devota non viene riconosciuto? (…) Senza un vero riconoscimento del ruolo della ma- dre, rimarrà una vaga paura della dipendenza. Questa paura prende- rà qualche volta la forma di paura della donna, o di paura di una donna, e altre prenderà forme non facilmente riconoscibili, che inclu- dono sempre la paura di essere sopraffatti». Certo non basta essere madri per essere materne, ma il paradigma rimane valido nonostante molte eccezioni e il termine mater , con la sua radice materia , conserva il valore simbolico che la nostra storia gli ha attribuito, anche oggi che molte cose sono cambiate. Quanto ci rende davvero umani La madre, che Freud definisce «quel preistorico, indimenticabile Altro, che più tardi non sarà mai eguagliato da nessuno», è investita al tempo stesso da pulsioni di amore e di odio ma di solito, grazie alla sua dedizione, l’amore prevale e si proietta poi, non senza ambivalenze, sulla donna che l’uomo sceglie come compagna della sua vita. Alla luce di questa constatazione, il gesto delle donne che si op- pongono alla violenza maschile con l’unica risorsa del corpo femmi- nile e materno acquista una valenza nuova che interroga, oltre alla nostra identità, la complessa relazione tra i sessi. Osservando la sequenza delle immagini pubblicate, scorgiamo da una parte un cupo, minaccioso carro blindato e, più frequentemente, un plotone antiguerriglia composto di militari in assetto di combatti- mento, espressione di un potere maschile violento, anonimo e imper- sonale. Dalla parte opposta si erge invece una donna sola che, avvol- ta in abiti leggeri, magari con il velo ma a volto scoperto, li fronteg- gia mostrando al mondo — i fotografi sono in agguato — la sua iden- tità e le sue emozioni. La dissimmetria è evidente e lo scontro, in ter- mini fattuali, già deciso. Tuttavia la consapevolezza della nostra debolezza può tradursi in potenza eversiva, come mostra il valore del martirio nella storia della Chiesa. In quanto vittima designata della violenza maschile, la donna si offre volontariamente all’assalto dell’aggressore ma la sua esposi- zione non esprime rassegnazione quanto resistenza e volontà di me- diazione. Ma che cosa può dire il silenzio femminile di fronte alla minaccia delle armi? Il suo corpo parla per lei evocando la dolcezza dell’amore — vi ricordate lo slogan «mettere fiori nei vostri cannoni» con cui una generazione si è opposta alla guerra in Vietnam? — e la potenza della generazione. Come scrive Adrienne Rich negli anni in cui i giovani erano veramente tali: «Tutta la vita umana nel nostro pianeta nasce da donna. L’unica esperienza unificatrice, incontrover- tibile, condivisa da tutti, uomini e donne, è il periodo trascorso a for- marci nel grembo di una donna… Per tutta la vita e persino nella I L POTERE SIMBOLICO DEL CORPO DELLE DONNE
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