donne chiesa mondo - n. 62 - novembre 2017
DONNE CHIESA MONDO 38 DONNE CHIESA MONDO 39 Privata della tessera alimentare, visse del cibo che gli amici le passavano. Alla poesia del ciclo intitolato Requiem è affi- data la sua disperazione: «Scorre placido il pla- cido Don, / entra in casa una gialla luna, / il cappello a sghimbescio, entra, vede un’ombra la gialla luna. / Questa donna è malata, / questa donna è sola, / morto il marito, in carcere il fi- glio, / pregate per me». Requiem è un testo ca- pitale, che mostra come Anna avesse preso su di sé il peso della storia: rimasta in Russia, si sot- topose ogni giorno ad estenuanti ore di attesa, in fila nella neve, insieme alle altri madri, con viveri e vestiti, davanti al carcere di Leningrado, dove era imprigionato suo figlio Lev, la cui uni- ca colpa era di quella di essere figlio di un con- trorivoluzionario. Se il pacco era accettato, era segno che il prigioniero era vivo. In caso con- trario era sicuramente deceduto: «Ho passato diciassette mesi in fila davanti alle carceri di Le- ningrado. Una volta qualcuno mi “riconobbe”. Allora una donna dalle labbra livide che stava dietro me e che, sicuramente non aveva mai sentito il mio nome, si riscosse dal torpore che era caratteristico di tutti noi e mi domandò in un orecchio (lì parlavano sussurrando): “Ma questo lei può descriverlo?”. E io dissi: “Posso”. Allora una specie di sorriso scivolò lungo quello che un tempo era stato il suo volto». La parola poetica divenne per Anna Achma- tova il luogo della sua salvezza, il luogo della forza e possibilità di resistenza. Parlò anche alla radio per incoraggiare le donne russe durante l’assedio di Leningrado; le incitò a resistere, a rimanere al proprio posto, così come lei faceva; diventò in qualche modo quello che lei sperava di essere, cioè la voce del popolo russo, o «An- na di tutte le Russie», come la definì l’amica Marina Cvetaeva. Se molti artisti emigrarono, Achmatova, come Pasternak, non lasciò mai il suo paese: «Una voce mi giunse. Suadente / mi chiamava, diceva: / Vieni qua, / lascia il paese sordo e peccatore, / lascia la Russia per sempre. / (…) / Io mi tappai le orecchie con le mani, / perché l’indegno discorso, / non profanasse l’anima dolente». Anna infine riuscì fattivamen- te a salvare Lev, dedicando a Stalin un ciclo di quindici testi celebrativi. Come le poesie di Mandel’stam, le poesie di Achmatova sono giunte fino a noi grazie all’amore e alla stima dei suoi compagni, tra cui la scrittrice Lydia Cukovskaja, che memorizzò i versi che Anna scriveva mentre prendevano il té, costrette a buttare immediatamente il foglio. Da ragazza che parlava d’amore e di senti- menti, la poetessa divenne dunque testimone della tragicità della sua epoca. Dal 1953, l’anno della morte di Stalin, fino alla sua propria mor- te nel 1966, Anna Achmatova visse finalmente un periodo di serenità e di riconoscimenti inter- nazionali. Per le giovani generazioni la sua voce rappresenta la possibilità di una libertà interiore che sconfigge la brutalità della storia. M ATTEO 25, 1-13 N egli ultimi giorni che trascorre con i suoi discepoli, prima della sua passione e morte, Gesù vuo- le lasciare loro un messaggio forte e insistente su ciò che sa- ranno chiamati a vivere nel loro futuro di seque- la, li sta preparando a vivere la sua assenza e dona loro la promessa del suo ritorno nella gloria. Gesù narra un incontro: quello tra lo sposo che viene e le giovani che formano il corteo fe- stoso della sposa. Ma racconta anche e soprat- tutto un tempo, il tempo dell’attesa, indetermi- nato: il momento della venuta è incerto e non sta all’uomo decidere il momento di questa ve- M EDITAZIONE Far splendere il desiderio dell’incontro a cura delle sorelle di Bose Gaetano Previati, «La danza delle ore» (1899 circa)
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