donne chiesa mondo - n. 61 - ottobre 2017
DONNE CHIESA MONDO 8 DONNE CHIESA MONDO 9 F Fatima è nata in Eritrea, 26 anni fa, lei e suo marito si sono cono- sciuti da bambini. Entrambi molto poveri e suo marito destinato a essere arruolato forzatamente dall’esercito, rischiando di passarci la vita intera, suben- do angherie e violenze. Costretto a uccidere o a vivere con la paura di essere ucciso. Anche Fatima finché non si è sposata ha fatto il servizio militare, fino a che non è nato il suo primo figlio è rimasta a disposizione dell’esercito, nonostante il servizio militare sulla carta duri solo un anno e mezzo, di fatto gli uomini e le donne restano arruolati a tem- po indefinito, a volte gratis, a volte per una manciata di dollari al giorno. Quando il figlio aveva quattro anni Fatima e suo marito hanno de- ciso di fuggire, rischiando la vita per cercare un futuro migliore, con grande sofferenza e contro la volontà di tutti hanno lasciato il bam- bino con i genitori di Fatima, e hanno pagato dei trafficanti per arri- vare in Sudan e poi in Libia e poi raggiungere l’Italia, via mare. «Mia madre non avrebbe voluto — dice Fatima — ma io e mio ma- rito desideravamo un futuro migliore per tutti; per questo, nonostan- te il parere contrario delle famiglie intere, abbiamo deciso di rischiare e partire». Oggi Fatima vive in un centro di accoglienza in Italia del nord. È sola, suo figlio in Eritrea, suo marito perduto lungo il viaggio che l’ha portata in Italia. «Ci siamo affidati a diversi gruppi di trafficanti, il primo doveva farci attraversare il Sudan, il secondo farci arrivare sulle coste libiche. Ci abbiamo messo dieci giorni, giorni di fame, di stenti, di lacrime delle persone intorno a noi. Un giorno non ce l’ho fatta, non aveva- mo acqua e sono stata costretta a bere la mia pipì. Le donne non avevano niente da bere e da mangiare per i bambini, i bambini gri- davano, disperati». Fatima, in Libia, ha perso tutto. Quando il gruppo di eritrei con il quale viaggiava è arrivato a Be- ni Walid, per essere trasportato verso la parte più occidentale del paese, a Sabratha, punto di snodo del traffico di uomini e tristemen- te noto per il numero di partenze e di morti sulla spiaggia, le donne sono state separate dagli uomini e portate in un capannone, un cen- tro di smistamento. Quando ricorda quella notte Fatima trema, è la notte in cui le sue speranze sono morte, in cui il suo corpo è stato violato, in cui ha perso suo marito. I numeri della vergogna Un numero sempre crescente dei migranti che arrivano in Italia, non solo profughi e rifugiati, sono vittime di sfruttamento, cioè destinati al mercato sessuale. Negli ultimi anni, l’aumento delle donne e dei minori non accompagnati è stato impressionante: rispettivamente, 11.009 e 3040 nel 2016, a fronte di circa 5000 donne e 900 minori non accompagnati sbarcati nel 2015. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) solo negli ultimi di tre anni il loro numero è cresciuto del 600 per cento. La quasi totalità delle donne — spesso giovani e minori tra i 13 e i 24 anni (nel 2016 è stata registrata una diminuzione dell’età delle più giovani vittime di tratta) — è oggetto di violenza e abusi già durante il viaggio: l’80 per cento delle ragazze arrivate dalla Nigeria denuncia abusi e il loro numero è passato da 1500 nel 2014 a oltre 11.000 nel 2016. I dati raccolti dall’Oim nei luoghi di sbarco e nei centri di accoglienza per migranti per alcuni versi sono sorprendenti. Tra i primi quindici paesi per provenienza delle persone che hanno cercato di arrivare in Italia via mare, la Siria non c’è: nel 2016 la prima nazionalità per numero di arrivi via mare in Italia è stata la Nigeria (quasi raddoppiati gli arrivi rispetto all’anno precedente), non solo da Edo State (zona poverissima) ma da diverse regioni del paese (Delta, Lagos, Ogun, Anambra, Imo). A seguire Eritrea, Guinea e Costa d’Avorio.
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