donne chiesa mondo - n. 60 - settembre 2017
DONNE CHIESA MONDO 14 DONNE CHIESA MONDO 15 zione etica, a restare attenti alle singole situazioni, alle circostanze at- tenuanti, all’ambivalenza dei sentimenti. La libertà di coscienza non va confusa con il libero arbitrio, essa si esercita nelle zone grigie dell’azione. In assenza di un’illusoria trasparenza interiore, il discer- nimento consiste sostanzialmente in un lavoro di disillusione che pre- suppone di non mentire più a se stessi. La libertà di coscienza è la virtù di un soggetto, uomo o donna. Perché invocare la specificità del ruolo delle donne? Esiste una situa- zione particolare delle donne rispetto all’esercizio della libertà di co- scienza? Possiamo leggere la storia delle donne come una lunga lotta per farsi riconoscere come persone autonome. Il XX secolo ha messo fine a una sorta di maledizione che gravava su di loro. Eppure le donne devono affrontare ancora tante difficoltà, persino nelle nostre demo- crazie, quando intendono esercitare la loro libertà di coscienza e si ri- fiutano di delegare agli uomini il potere di parlare al loro posto e di decidere il loro destino. Devono spesso procedere con astuzia, per la- sciare credere agli uomini che sono loro a governare, e agire di na- scosto o dissimulatamente. Porre fine a una tradizione di esclusione e di subordinazione richiede tempo e pazienza. Si tratta qui di una libertà, e di una libertà duramente conquistata, al prezzo di una forte determinazione e di una grande solitudine. Ac- quista un senso nella resistenza alle violenze di cui le donne sono quotidianamente oggetto, con la loro parte di ineguaglianze, umilia- zioni e maltrattamenti. Al punto che, per indicare la specificità della violenza commessa contro le donne, è stato forgiato un nuovo termi- ne: “femminicidio”. La libertà di coscienza collegata alla parola “donna” evoca così prima di tutto un gesto di emancipazione, la sto- ria di una liberazione in corso come una resistenza permanente alla violenza. Se il femminile non è riducibile al ruolo delle donne, nel filosofo Emmanuel Lévinas è la manifestazione di una sovraesposizione alla violenza. Ma è anche il segno di un’alterità radicale, di un territorio inviolabile e inespugnabile. Certo, lo si può violare, ma non lo si riu- scirà a possedere o ad assimilare. Il femminile è allora l’altro nome della libertà di coscienza, l’espressione di un’interiorità di cui non ci si può appropriare, ciò per cui un essere umano, sia esso uomo o donna, si rende inaccessibile e sfugge a ogni controllo: è il tesoro dell’essere più vivo e più disarmato. È il tesoro di Antigone che rifiu- ta di sottomettersi alla legge degli uomini e invoca leggi superiori «non scritte», a rischio della propria vita. tendiamo a evitare. Vorremmo, più di ogni altra cosa, «avere la pa- ce». Si può costringere gli uomini a esercitare una libertà di coscien- za di cui cercano istintivamente di liberarsi? È la terribile domanda che Étienne de La Boétie pone nel suo importante saggio sulla «ser- vitù volontaria». Di fatto l’esercizio della libertà di coscienza è una questione che mi riguarda. Ma dato che non è naturale, è responsa- bilità dell’educatore risvegliarla o denunciarne l’assenza, ogni qual- volta ci sottraiamo a essa. Nel constatare l’assenza di cattiva coscienza in Eichmann durante il suo processo a Gerusalemme, la filosofa Hannah Arendt concluse che aveva origine in «una curiosa inattitudine a pensare». Troppo spesso gli uomini non sanno quello che pensano né quello che fan- no. Ignorano quanto sia grave la loro colpa e le conseguenze dei loro atti. Prendono un male per un bene, non prestano attenzione agli al- tri e restano estranei a se stessi. Per pigrizia, negligenza o cecità, la coscienza si sottrae così agevolmente a ogni responsabilità e abdica alla sua libertà interiore. Ma, anche se non possederemo mai la liber- tà di coscienza, non possiamo rinunciare a esercitarla senza pregiudi- care gravemente la possibilità di un pensiero personale o di una vita morale. L’esercizio della libertà di coscienza è un appello a diventare mi- gliori, a elevarsi al di sopra della palude della nostra vita, e al tempo Il XX secolo ha messo fine a una sorta di maledizione che gravava sulle donne Eppure esse devono affrontare ancora tante difficoltà per poter esercitare la loro libertà di coscienza spiaggia e dimentichiamo la qualità. Dobbiamo insegnare ai turisti a rispettare i luoghi». Vietato perché troppo rivolto alle donne Si intitola Lipstick Under My Burkha (2017) il film della regista indiana Alankrita Shrivastava che racconta la storia di una diciottenne che tenta di ribellarsi al contesto misogino e patriarcale in cui si trova, per costruirsi la sua vita. L’irriverente pellicola è incappata nelle maglie del Central Board of Film Certification, l’organismo locale deputato alla censura, che ne ha bloccato per mesi l’uscita. La cosa interessante, però, è la motivazione: a parte la reprimenda per le troppe scene di sesso e per alcuni audio definiti pornografici, il cuore della critica sta nel fatto che il film è «oltre misura indirizzato alle donne». Chi si macchia della gravissima colpa di rivolgersi alle donne certo non può passarla liscia. stesso un rifiuto del rigorismo morale e del lassismo. Come restare ancora umani, quando non è possibile seguire i principi della morale che separa il bene dal male? Nel romanzo di William Styron, è il di- lemma di Sophie: l’ufficiale nazista la obbliga a scegliere quale dei due figli salvare e quale sacrificare, altrimenti tutti e due moriranno. Durante le catastrofi, quanti soccorritori sono sottoposti a simili scel- te impossibili! Al di là di queste situazioni estreme, la vita quotidiana ci mette spesso di fronte alla scelta del “male minore”. Il discerni- mento — quando non possiamo scegliere tra il bene e il male e anna- spiamo nelle scelte tragiche dell’esistenza — obbliga allora all’innova- >> 19 >> 12
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