donne chiesa mondo - n. 54 - febbraio 2017
DONNE CHIESA MONDO 30 DONNE CHIESA MONDO 31 L’ importanza della figura di Elisabetta, all’inizio della storia cristiana, non viene sempre illuminata come dovrebbe. Ma la lettura del primo capitolo del vangelo di Luca ci invita a farlo con esplicite ragioni. Tanto la sua vita e le sue parole sono intrecciate con la nascita di Ge- sù che sarebbe impossibile non riconoscere alla moglie di Zaccaria, un ruolo di primo piano nella venuta al mondo del figlio di Dio. La sua insperata attesa di Giovanni è ormai una realtà — è già al se- sto mese di gravidanza — quando l’angelo raggiunge sua cugina Maria, nella lontana Galilea. Per lei, la figlia di Levi, che viveva nei pressi di Gerusalemme, città capitale politica e religiosa, quella parente doveva essere un po’ “alla larga” e dovevano frequentarsi poco, vista la distan- za, ma anche la differenza sociale tra le due. Elisabetta è una adulta si- gnora, moglie di un sacerdote che officia nel Tempio, una classe affat- to alta, nella gerarchia degli ebrei di Palestina. Maria, invece, era una ragazza di campagna, una semplice ebrea di provincia. Elisabetta è sposata da anni, naturalmente con un uomo del suo ceppo e del suo rango: i leviti, infatti, sposavano donne levite e viceversa. Maria era ancora promessa sposa a un uomo della famiglia di David, una buona famiglia certamente, una stirpe messianica, tuttavia laica. In un perio- do — come quello del tempo — in cui messia non ce n’erano più e il potere apparteneva ai sacerdoti, anche Giuseppe era un uomo qualun- que. Ma la sorpresa verrà dall’alto, da una volontà divina che un ange- lo portò a compimento, recandosi dal Tempio di Gerusalemme proprio nella lontana regione galilaica a salutare Maria. Quella visita così straordinaria si concluse con un annuncio altret- tanto straordinario: Maria diventerà la madre del « figlio dell’altissi- mo» (cfr. Luca 1, 26-38). Da quel momento le due donne diventano un tutt’uno e Maria vo- la da Elisabetta. Un comune sogno e un comune destino ne segnano il cammino. Il percorso di Maria sembra calcato su quello che l’ange- lo ha appena fatto verso di lei. Parte dalla Galilea, dalla sua Nazaret e si reca, plausibilmente a piedi, sino in Giudea. Rispetto a quello dell’angelo, il suo è un cammino a ritroso. Il villaggio di Elisabetta non ha un nome, di esso si dice solo che fosse sulle montagne della Giudea (cfr. Luca 1, 39); un luogo che la tradizione ha identificato con Ain Karim, a sei chilometri da Gerusalemme. Ciò che importa è che siamo in Giudea. E che quella sua parente appartenesse a una “sacra” famiglia. Giunta in città, Maria si com- porta identicamente all’angelo: « entra nella casa di Zaccaria e saluta Elisabetta» ( Luca 1, 40). Ciò che potrebbe sembrare un gesto norma- lissimo assume qui un valore teologico fondamentale: ella non va so- lo a trovare sua cugina Elisabetta, ma entra nella casa del sacerdote e «La Visitazione» (fine del XIX secolo vetrata, chiesa di Saint-Jacques-le-Mineur Liegi) quanto vi porterà coinvolge e cambia radicalmente la realtà e la fun- zione dei sacerdoti del Tempio. Cosa porta la ragazza di Nazaret? La voce del saluto di Gabriele e la fonte della vita: la sua parola è feconda come quella di Dio e ri- sveglia la vita. Elisabetta, infatti, sente suo figlio sussultare nel grem- bo, proprio quando Maria la saluta. Ciò che la vergine ha ricevuto dall’annuncio dell’angelo, ora lo riversa su di lei: Maria si è fatta an- gelo di Dio! La corsa di Maria è accolta da una benedizione. In essa il segno della grandezza di quell’impresa: « Benedetta tu fra le donne e bene- detto il frutto del tuo grembo » ( Luca 1, 47) sono le parole di Elisa- betta. La benedizione, quando non viene dalla bocca di Dio, ma da quella di un essere umano, è causata dallo stupore e dalla gratitudine per qualcosa di grande che la persona benedetta ha fatto. Un primo esempio è quello di Abramo. Un’azione di grande generosità aveva compiuto Abramo a favore della città di Sodoma: aveva sconfitto i nemici che le avevano dichiarato guerra, restituendole il territorio e la libertà (cfr. Genesi 14). Abramo non aveva voluto niente per sé come compenso, mostrandosi affatto disinteressato in relazione al suo impegno e alla sua solidarietà con la città di suo nipote Lot. Ed è in tale frangente che ricevette una benedizione dal sacerdote Mel- chisedek:
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