donne chiesa mondo - n. 54 - febbraio 2017
DONNE CHIESA MONDO 24 DONNE CHIESA MONDO 25 Si è trasferita in Libano, a Beirut, per provare a dare un senso al suo talento e alla sua arte, lavorando con le associazioni umanitarie che sostengono i diritti delle donne e i progetti scolastici dei bambini siriani. Diala, con i suoi pennelli e i suoi colori, ha realizzato murales sul- le tende dei campi profughi per incoraggiare i bambini e sollevarli dal peso delle privazioni cui sono costretti. «Una volta stavo facendo delle lezioni con dei bambini in un cam- po profughi, nessuno di loro aveva accesso al sistema scolastico pub- blico libanese, c’era un bambino che aveva dieci anni, al mattino era costretto a lavorare come meccanico perché suo padre non trovava la- voro e non sapevano più come sfamarsi». «Ho disegnato con lui ogni pomeriggio per due settimane, un giorno gli ho chiesto un numero di telefono dove avrei potuto con- tattare lui e la sua famiglia». «Ho segnato il suo numero e sulla sua foto del profilo di Whats- App c’era una bara, e il suo status era: “Quando muoio mi manche- rete”». «Ero disperata. Un bambino di 10 anni con i pensieri così prossi- mi alla morte». Diala ha lavorato con Ahmed per molte settimane, ha cercato di spiegargli che doveva resistere a tutte le difficoltà, alla fatica del lavo- ro e dello sfruttamento, ha cercato di insegnare a quel bambino a es- sere forte nonostante tutto: nonostante la vita in tenda, il padre di- soccupato, i fratelli e le sorelle spesso senza nulla per sfamarsi. Un giorno ha chiesto ad Ahmed di modificare la sua immagine e il suo status: «“Sii ottimista, provaci” gli ho detto». «Mi ha detto di averlo fatto solo per me. Ha messo un’immagine con dei fiori colorati e una frase: “Resisterò, non importa quanto sarà dura la mia vita”». «Ho sentito che il mio lavoro serviva a qualcosa. Fosse anche ad alleviare il peso della perdita a un solo bambino». Lo scorso luglio Human Right Watch ha realizzato un rapporto di 90 pagine sulla situazione dei profughi siriani in Libano, dal titolo: «Crescere senza istruzione». Nel rapporto si legge che alcune strutture scolastiche libanesi non hanno rispettato le norme di iscrizione dei rifugiati, ma soprattutto il governo ha imposto rigide norme per la residenza che limitano forte- mente la libertà di movimento dei profughi, rendendo di fatto im- li, coordinavamo l’assistenza umanitaria. Poi i miei amici sono stati arrestati, uno dopo l’altro. Ho capito che non ero più al sicuro. Ho capito che sarei dovuta scappare dal mio paese». «C’è stato un giorno in cui ho realizzato con nettezza che di lì a poco sarei andata via: stavo consegnando del materiale medico. Ave- vo del siero sotto il sedile della mia automobile e mi hanno fermato a un posto di blocco per controllare la macchina». «Sono stata fortunata solo perché il soldato che mi ha fermata era visibilmente ubriaco: ha guardato il soldato che era con lui dicendo “Guarda che bella ragazza, lasciamola andare” e in quel momento esatto ho sentito che la mia vita era su un filo, ero come un funam- bolo ma il mio destino non dipendeva più da me». «In quei pochi istanti al posto di blocco ho visto tutta la vita pas- sarmi davanti. Ho temuto che sarei finita in prigione per sempre». Pochi giorni dopo Diala era in Turchia, profuga tra i profughi. Fuggita dalla guerra per salvarsi la vita. «I giorni in Turchia sono stati quasi peggiori degli ultimi giorni in Siria. Non riuscivo a trovare un lavoro, nemmeno da volontaria nelle organizzazioni umanitarie». «Mi sentivo inutile e soprattutto mi sentivo colpevole, perché desi- deravo una vita sicura mentre la gente in Siria stava ancora soffren- do, moriva di stenti, moriva sotto le bombe». Un giorno Diala ha ricevuto una telefonata da casa. Suo fratello era stato ucciso, nel nord della Siria. Diala racconta di aver pianto come mai prima; ha pensato che non sarebbe stata più capace di piangere.
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