donne chiesa mondo - n. 54 - febbraio 2017

DONNE CHIESA MONDO 20 DONNE CHIESA MONDO 21 giochi, ma cinque dei dieci atleti selezionati appartenevano alla scu- deria di Tegla. Tutti sudsudanesi, tre ragazzi e due ragazze, con sto- rie personali e familiari difficilissime alle spalle: «Sono arrivato nel campo profughi di Kakuma quando avevo cinque anni» racconta Pur, 21 anni, che ancora non può credere di aver realizzato il sogno di partecipare a un’Olimpiade. E «sono scappato insieme a mio fra- tello. Un altro, invece, è dovuto fuggire recentemente, per la guerra civile che è scoppiata a fine 2013 in Sud Sudan. Ora si trova in un campo in Etiopia. Io ho sempre vissuto a Kakuma. Ho frequentato la scuola lì, ma non c’erano le strutture e l’organizzazione per prati- care sport in modo serio. A me però piaceva correre... ». A James, 25 anni, brillano ancora gli occhi a sentir parlare di Rio. «Ma non è solo la questione delle Olimpiadi» dice con la saggezza di chi ha già vissuto molte dure prove: «Qui con Tegla abbiamo la possibilità di sviluppare il nostro talento, ma anche di imparare mol- to, sia nell’atletica che nella vita». «È il loro futuro come persone, e non solo come atleti, che ci inte- ressa veramente» conferma Tegla: «Per questo offriamo loro anche l’opportunità di studiare e garantiamo un pocket money , un piccolo contributo economico, che non è molto, ma che permette di aiutare Il Kenya è uno dei paesi al mondo con il più alto numero di rifu- giati sul suo territorio. Nei campi di Kakuma nel nord (con circa 200 mila profughi) e Dadaab all’est (con circa 340 mila persone) e mol- tissimi altri rifugiati sparsi per il paese, il Kenya deve affrontare una situazione non facile e contrastare il rischio terrorismo che si è già concretizzato in diverse atroci stragi. Il governo ritiene che alcuni dei terroristi provengano dai campi profughi, specialmente da quello di Dadaab, dove potrebbero esserci infiltrazioni dei fondamentalisti so- mali di Shabaab. Ma in questi campi c’è soprattutto gente senza nulla e senza futu- ro. Ed è proprio qui che si è recata Tegla con la sua fondazione, per scovare giovani talenti sportivi e dare loro una chance. Per questo, nel giugno 2014, in occasione della giornata mondiale del rifugiato, Tegla ha organizzato una corsa della pace nel campo di Kakuma, do- ve ha notato alcuni ragazzi promettenti. Ha quindi deciso di fondare un centro di formazione atletica sulle colline di Ngong, alla periferia di Nairobi. Non ci ha portato, però, solo un gruppo di giovani atleti, ma ha convinto anche una rappresentanza del Comitato olimpico in- ternazionale (Cio) a recarsi sul posto per rendersi conto direttamente del progetto. Il Cio ha quindi deciso di sostenerlo. «Questi giovani atleti — afferma Tegla con convinzione — sono miei fratelli. Hanno talento, ma le situazioni drammatiche dei loro paesi non permettono Tegla è stata una delle più grandi maratonete di tutti i tempi La prima africana a vincere la maratona di New York E anche oggi che si è ritirata dall’atletica non ha smesso di lottare Rica e il Perú più del 60 per cento della popolazione femminile nei penitenziari si trova lì per questi reati. Posti per sole donne in aereo Di fronte al moltiplicarsi delle denunce per le persistenti molestie sessuali di cui sono oggetto i passeggeri di sesso femminile nei voli in India, la compagnia Air India inaugurerà nei suoi collegamenti interni la disponibilità di sei posti in economica unicamente riservati alle donne. La shoah delle donne A Trento fino all’8 febbraio va in scena lo spettacolo teatrale «Eppure non ho paura. Memorie femminili dal Lager di Ravensbrück», atto unico di Renzo Fracalossi. «Per la prima volta il dramma della shoah parla attraverso gli occhi delle donne internate nel campo di concentramento di Ravensbrück, che, diversamente da tanti altri, era interamente destinato a esse e dove sono state internate oltre 130.000 donne» sostiene l’autore. di sviluppare le loro potenzialità. Proprio per questo li ho portati qui con me». Sono 24, dai 17 ai 23 anni, sia ragazzi che ragazze. Molti di loro sono originari del Sud Sudan, ma vengono anche da Somalia e Re- pubblica Democratica del Congo. Tutti vivevano nei campi profughi di Kakuma o Dadaab. Con loro si sono allenati anche sei atleti ke- niani. Così come keniani sono stati i loro allenatori, coadiuvati da un coach tedesco. Più lei stessa, Tegla, che ogni tanto si unisce agli alle- namenti. Il primo e più importante traguardo erano proprio le Olim- piadi di Rio. E, neanche a dirlo, l’obiettivo è stato raggiunto. Non solo per la prima volta una “nazionale di rifugiati” ha partecipato ai >> 19 le famiglie rimaste nei campi profughi. E poi diamo loro possibilità di allenarsi in modo più “professionale” e il tempo perché possano crescere come veri atleti e imparare a vivere insieme nel rispetto delle differenze». «È questa — insiste Tegla — una delle cose belle dello sport, il fat- to che aiuta a vedere gli altri al di là delle etichette: non somali o sud sudanesi o rifugiati, ma persone come te, che si impegnano per raggiungere dei risultati e che, come te, decidono di impegnarsi di più quando non li ottengono o gioiscono per una vittoria».

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