donne chiesa mondo - n. 53 - gennaio 2017
DONNE CHIESA MONDO 32 DONNE CHIESA MONDO 33 sembra degno di particolare attenzione, fa toccare il mistero dell’in- carnazione di Gesù stesso, descritto in Galati 4, 4 «nato da donna», che si fa vicino alla condizione umana nella sua più grande modestia. In secondo luogo perché il racconto evangelico risuona di forti riferi- menti biblici, che collegano Maria alle donne d’Israele di cui le Scrit- ture conservano e celebrano la memoria. La presenza di Elisabetta, la sterile, che partorisce nella sua vecchiaia, inscrive nel Vangelo, sin dall’inizio, questa storia femminile, che serve da sostegno al compi- mento del disegno di Dio. Proprio come il Magnificat , che riprende le parole di Anna, madre di Samuele. Così Maria appare al termine di una lunga discendenza di donne che, a partire dalle matriarche e passando per Rut, Giuditta, Ester e molte altre, hanno concepito, nella potenza di Dio, le generazioni d’Israele o che, in questa stessa potenza, sono state le garanti del futuro del popolo nei momenti di pericolo. Infine, Maria è evocata nelle parole che l’associano alla Fi- glia di Sion, i cui tratti la tradizione profetica esalta anticipatamente a partire dall’esilio, associandola all’opera di salvezza che Dio compi- Docente universitario emerito, insegna attualmente esegesi biblica alla facoltà Notre-Dame, Collège des Bernardins (Parigi). È spesso impegnata in corsi di antropologia bilbica nel mondo monastico, brutale, è in realtà molto istruttiva per lo spostamento che opera: «chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre». L’asserzione è confermata in Luca 11, 27-28, quando Gesù rifiuta le parole della donna che celebra il ventre ma- terno che lo ha portato, spostando di nuovo la beatitudine verso «coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano», lontano quin- di da considerazioni sulla maternità fisica di Maria. Questi ultimi fat- ti, sicuramente sconcertanti, racchiudono però una lezione importan- te: l’identificazione di Maria, l’esplicitazione del suo ruolo e della sua preminenza nel mistero della salvezza possono creare malintesi. Invi- tano dunque a usare prudenza e a fare attenzione. «Beata tu fra le donne»: questo appellativo dato a Maria da Elisa- betta, che conosce il segreto di sua cugina mentre lei stessa riceve la grazia di una nascita impossibile, deve richiamare l’attenzione. L’espressione è magnifica, ma deve essere intesa correttamente, ossia astenendosi dall’interpretazione che vorrebbe che lei «unica tra le don- ne, seppe piacere a Dio», come riteneva un autore del V secolo e come l’ha sottinteso una lunga tradizione. Il testo evangelico, nella sua ver- sione sia greca sia latina, la designa bene come colei che è «tra», «tra le donne», che trova posto nel nutrito corteo delle generazioni femmi- nili che si succedono da quando il mondo è mondo. E in tale contesto Maria, naturalmente, si trova innanzitutto vicina alle sue contempora- nee, parenti, vicine, amiche, che vivono al ritmo di un villaggio della Galilea del I secolo. La nostra memoria storica fatica a far rivivere que- ste vite di donne, tanto sono votate culturalmente all’annullamento. Esegeti e storici si sforzano oggi di restituire qualcosa di loro, un qual- cosa che però non va oltre ciò che dice allusivamente il Salmo 128: «La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa». Eppure, nel caso di Maria, questa umile condizione è strappata al- la banalità. In primo luogo perché quella vita nascosta, dove nulla L’autrice «Visitazione» (vetrata della chiesa di Taizé) è membro dell’Association catholique française pour l’étude de la Bible (Acfeb) e dell’Institut Lustiger. Nel 2014 è stata insignita del premio Ratzinger. Fra le sue pubblicazioni Lectures du cantique des Cantiques. De l’énigme du sens aux figures du lecteur (1989); Il cristianesimo e le donne (2001), e Le signe de la femme (2006). rà. Ed è quello che esprime il saluto dell’angelo dell’Annunciazione, dove il termine greco chàire si deve intendere come un “gioisci” che riprende Sofo- nia 3, 14, Zaccaria 9, 9 e ancora Gioele 2, 21-33, invi- tando la Gerusalemme messianica alla gioia di saper- si rivestita da Dio degli abiti della salvezza. Stavolta è evidente, la figura di Maria travalica le generazioni femminili d’Israele per eguagliarsi all’intero popolo, generato da Dio alla santità, a partire dal piccolo resto che si è man- tenuto umilmente nella speranza. Si può pertanto celebrare Maria come il verus Israel , nel senso che tutto ciò che la definisce è di fatto compimento della vocazione del popolo eletto. Così Maria viene posta, come nessun altro essere uma- no, nel cuore ardente dell’alleanza, là dove Dio conduce al punto estremo la sua volontà di salvezza per l’umanità e là dove questa umanità accede a una giustizia che compie la sua verità divina. Lo stesso accade quando Maria acconsente all’inaudito annuncio dell’an- gelo, definendosi lei stessa «serva del Signore». Lungi da un’inter- pretazione negativamente ancillare, si sa che è questo il titolo che Mosè riceve da Dio e che conserva fino a Apocalisse 15, 3, ed è anche il titolo dato al re David, e naturalmente al popolo che, a detta dei profeti, fa tanta fatica a onorarlo nella storia veterotestamentaria. L’umiltà associata alla parola «serva» trova a sua volta il suo vero si- gnificato alla luce della rivelazione: antidoto all’orgoglio che conduce alla morte, è ciò a cui il Dio d’Israele ha esortato continuamente il
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