donne chiesa mondo - n. 52 - dicembre 2016

DONNE CHIESA MONDO 18 DONNE CHIESA MONDO 19 scersi e prendere possesso di se stessi. E allora il desiderio impellente di scrivere, per dare un ordine e un senso alle esperienze vissute e per costruire finalmente una personale rappresentazione della propria soggettività si scontra con la problematicità e la vulnerabilità dell’ita- liano, in quanto lingua straniera. La scelta della lingua italiana rima- ne però una costante di questa produzione letteraria, ed è scelta per entrare in contatto con l’esterno, per stabilire una relazione con l’al- tro da sé: scrivere in italiano per un’autrice migrante significa tendere una mano verso l’interlocutore, invitandolo prima all’ascolto e poi al dialogo. Le scrittrici di seconda generazione invece non hanno mai migra- to, ma sono figlie di immigrati, nate e cresciute in Italia, dunque di madrelingua italiana: dal 2000 in poi, hanno cominciato ad affacciar- si nel panorama letterario italiano, portatrici di uno sguardo disin- cantato e ironico sui pregi e difetti di cultura d’origine e cultura d’appartenenza. Rispetto agli uomini che scrivono, si distinguono per l’alto livello di istruzione e la grande padronanza e consapevolez- za della lingua italiana, appresa fin dall’infanzia. In questi casi, il problema linguistico svanisce: il loro stile è maturo, complesso, bril- lante, capace di creare nuovi termini e coniare nuove espressioni; le loro tematiche sono innovative per il fatto di allontanarsi dai temi classici della nostalgia e del rimpianto della patria perduta, proble- matizzando invece, in modo critico e a volte ironico, la loro nuova e complessa realtà, quella dell’essere donna scrittrice e immigrata in Italia. Come ad esempio Randa Ghazy, classe 1986, nata in Italia da genitori egiziani, che nel suo libro autobiografico Oggi forse non am- mazzo nessuno. Storie minime di una giovane musulmana stranamente non terrorista , affronta in modo diretto e ironico i pregiudizi dettati da di- sinformazione, qualunquismo e ignoranza, con cui gli immigrati di seconda generazione devono quotidianamente fare i conti. La prota- gonista è una ragazza di vent’anni, in cerca di identità, insofferente sia alle imposizioni della propria cultura d’origine (ad esempio ai matrimoni combinati), che ai luoghi comuni sugli arabi, tipici dei suoi coetanei occidentali. Sulla stessa linea sono le opere di Igiaba Scego, nata a Roma, do- po che i suoi genitori, somali, hanno scelto l’esilio in Italia, a causa del colpo di stato militare di Siad Barre, nel 1969. Nel romanzo La mia casa è dove sono, ripercorrendo la storia della sua famiglia, dà vo- ce alla difficoltà e nello stesso tempo alla ricchezza del suo essere portatrice di due culture e di due storie: «Sono cosa? Sono chi? So- no nera e italiana. Ma sono anche somala e nera. Allora sono afroita- liana? Italoafricana? Alla fine sono solo la mia storia». Igiaba Scego, nel 2007, ha inoltre curato assieme a Ingy Mubiayi la raccolta Quan- come soggetto, attribuendo ordine e senso alle esperienze vissute in prima persona, costruendo finalmente una propria rappresentazione della soggettività femminile e del mondo in generale: la scrittura di- venta dunque il mezzo per rivelarsi apertamente, rielaborando se stesse e il trauma della migrazione. L’eterogeneità — di stile, di età, di provenienza — della letteratura migrante femminile dà voce a un quadro molto variegato, dove rima- ne comunque confusa e dibattuta la questione di chi sia con esattez- za lo «scrittore migrante». Vi sono autrici di prima e di seconda ge- nerazione, provenienti dalle ex-colonie, come nel caso delle scrittrici di origine africana; autrici appartenenti a famiglie miste, a famiglie italiane o a famiglie straniere, che la migrazione non l’hanno fatta, e mostrano inevitabili differenze a livello di scelte linguistiche e di con- tenuto. Se in Gran Bretagna e in Francia si sono costituiti dei veri e propri movimenti letterari, come Black Britain e Littérature Beur , in Italia è mancato effettivamente un polo aggregante. Nella maggior parte dei casi, le scrittrici migranti giunte in Italia conoscono almeno tre lingue: quella materna del paese di origine, gravidanze precoci, i servizi sanitari dello stato si sono impegnati a mettere in atto strategie volte alla prevenzione e all’assistenza delle adolescenti. Con quali esiti resta da vedere. L’Eden di Ducrot Dal primo numero, le opere di Isabella Ducrot hanno a lungo accompagnato, con grande successo, gli editoriali di «donne chiesa mondo»: ora, invece, è possibile seguire l’opera dell’artista nell’ennesima personale che il mondo dell’arte le dedica. Si tratta della mostra Eden — aperta fino al 14 gennaio negli spazi della Mac Maja Arte Contemporanea di Roma — in cui la carta è la materia prima e al tempo stesso materia narrante. Il sacerdote che salva le prostitute «Mi ha guardata come una persona»: con queste parole, ispirate a quelle di Bernadette dopo l’apparizione della Vergine, l’associazione francese Magdalena riassume la propria >> 20 >> 15 Pierre Bonnard «Donna che scrive» quella del paese europeo colonizzatore, e infine l’italiano. È questo il caso della camerunense Geneviève Makaping, che lamenta la difficol- tà di creare in una lingua di cui non ha la completa padronanza: «La mia espressione linguistica è ancora solo traduzione in italiano di concetti pensati in chissà quante altre lingue contemporaneamente, il francese, il pidgin, l’inglese e la mia lingua madre che è il bahuanese del Camerun. Avrò mai la padronanza di almeno una di queste lin- gue?». La lingua è dunque un luogo di lotta, un modo per ricono-

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