donne chiesa mondo - n. 52 - dicembre 2016
DONNE CHIESA MONDO 12 DONNE CHIESA MONDO 13 incontri mirati, dall’altra. In questo periodo nacquero i suoi grandi amori: per i poveri italiani ignoranti e vilipesi, senza protezione e senza aiuto, ma anche per l’America, un paese che intuì subito pieno di prospettive di realizzazione, di aperture per chi arrivava. Si fece subito amare dagli americani per il suo approccio franco, il suo an- dare subito al sodo, la sua concretezza. La via per il riscatto dei mi- granti italiani le fu subito chiara: trasformare un esercito di italiani ignoranti e poveri in stimati cittadini americani. Riuscì così a trasfor- mare i nemici — come l’arcivescovo Corrigan — in sostenitori, che le portarono aiuto per la costruzione dei primi orfanotrofi e per le pri- me scuole. Francesca infatti non chiedeva la carità, ma sapeva coin- volgere i suoi interlocutori proponendo investimenti in opere di assi- stenza che, grazie alla sua abilità di amministratrice, sarebbero diven- tati prosperi istituti. Si danno i soldi più volentieri a chi dimostra di saperne fare buon uso. Le sue opere, che affiancavano sempre alle di- mensioni caritative servizi a pagamento, erano gestite come imprese, e quindi possibilmente dovevano ottenere anche un profitto, che ve- niva immediatamente investito in altre fondazioni. Questo tipo di inserimento nella società americana, all’inizio quasi privo di coperture istituzionali e di soldi, era molto simile a quello che vivevano i migranti, e questa esperienza le fu preziosa nell’inven- tare strategie di aiuto per loro. Come rivelano le parole rilasciate in un’intervista al quotidiano «The sun» pochi mesi dopo il suo arrivo: «Il nostro obiettivo è quello di strappare gli orfani italiani della città dalla miseria e dai pericoli che li minacciano e far di loro dei buoni uomini». Madre Cabrini infatti elabora un modello di integrazione per gli immigrati — un modello che seguiranno lei stessa, che nel 1909 pren- derà la cittadinanza americana, e naturalmente le sue suore — per cui la nuova identità americana poteva convivere con quella italiana ori- ginaria grazie all’appartenenza alla religione cattolica. Proprio l’uni- versalità del cattolicesimo, secondo lei, garantiva la continuità tra la situazione di partenza e quella di arrivo. Anche se la vita per gli italiani e per i cattolici in generale era ab- bastanza dura, Francesca coglie nel nuovo mondo le possibilità reali di affermazione e d’inserimento, vede il lato positivo della libertà e della coesistenza di religioni diverse, garanzia di una tolleranza che l’Europa, malata di intolleranza anticlericale, non le assicurava più. Da ogni casa da lei fondata partiva una rete di iniziative verso il quartiere che comprendeva la scuola parrocchiale e la visita alle fami- glie. Le suore non solo portavano cibo e indumenti ai più bisognosi, ma incoraggiavano il battesimo dei bambini, la regolarizzazione dei dinò loro di ripartire con lo stesso bastimento perché i cattolici irlan- desi, di cui lui faceva parte, non volevano fra i piedi suore italiane. Gli irlandesi infatti, ormai stabiliti in America da qualche decennio, deploravano l’arrivo di altri cattolici poveri, sporchi, ignoranti, quali gli immigrati italiani. Non li facevano neppure entrare nelle loro chiese. Questa esperienza non fece che confermare a Francesca Cabrini quanto la loro presenza fosse necessaria. Anche lei senza protezione, senza sapere una parola di inglese, si mise subito al lavoro per trova- re una sede degna, sostenitori benestanti che finanziassero le sue scuole e i suoi orfanotrofi, anche se si doveva scontrare con un muro di difficoltà. Niente andava per il suo verso, tutto sembrava congiu- rare contro il suo progetto: ma essa vedeva nelle difficoltà e nelle de- lusioni non tanto degli ostacoli, quanto prove spirituali per purificare i suoi intenti e dare più solide basi al suo operato. «Ci vennero all’orecchio — scrivono le suore nelle loro memorie — delle osserva- zioni e dei pareri, che essendo ascoltati avrebbero, per così dire, do- vuto distruggere l’opera e in generale l’idea di fare del bene ai poveri italiani. Si udiva anche parlare dell’odio che si ha qui per gli italiani e le scuole loro, le difficoltà grandi che avremmo a vincere, eccetera. Fosse la reverenda madre generale stata una donna di poco spirito, certo avrebbe dovuto rinunziare a tutto e partirci subito». Da parte sua, Cabrini scriveva: «Qui non sopportano la vista degli italiani». Ma, qualsiasi cosa accadesse, Francesca era certa che, affidandosi completamente al cuore di Gesù, al momento giusto i risultati positi- vi non sarebbero mancati: insegnava alle suore che «la missione do- vrà andare molto bene perché trova tante opposizioni». Si muoveva in due direzioni: visitare i poveri, e comprendere le lo- ro esigenze, da una parte; cercare di capire la società americana con L’interno del lussuoso hotel Perry a Seattle trasformato da madre Cabrini in ospedale La quercia del Libano Un luogo per accogliere, accudire e accompagnare le donne straniere, spesso rifugiate in Libano e rimaste sole o comunque emarginate: è questo il fine del rifugio La quercia, centro di prima accoglienza recentemente riaperto dalla Caritas Libano che lo ha trasformato in un posto confortevole e sicuro per una trentina di donne e i loro bambini. «Molte delle ospiti fuggono da abusi come violenze domestiche, traffico di esseri umani o dalla violenza sempre più generalizzata e diffusa contro i rifugiati», riferisce Caritas Libano. Sebbene la struttura accolga donne di varie nazionalità, la maggior parte delle ospiti è costituita da rifugiate siriane. Oltre all’assistenza materiale, le donne — e i loro figli — D AL MONDO >> 15
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