donne chiesa mondo - n. 50 - ottobre 2016

DONNE CHIESA MONDO 6 DONNE CHIESA MONDO 7 nazione e il loro impegno sono lodevoli. Esse svolgono un ruolo molto importante nella cura dei più vulnerabili, nel sostenerli e sup- portarli anche nel percorso di ricerca della giustizia. E difficile lavorare in questi paesi. Ad esempio, v’è la tendenza, tra gli africani, a dare agli altri le colpe d’ogni cosa, un atteggiamento che esonera dall’assunzione delle proprie responsabilità, legato all’esi- stenza di alcune superstizioni che tardano a essere estirpate ma so- pravvivono nella quotidianità, e ogni motivo sembra essere buono per esercitare violenza sessuale sulle donne. Quindi ci vogliono non solo norme giuridiche adeguate, ma servono anche comunità che dal basso possano lavorare a fianco delle vittime. Occorre infatti rapida- mente invertire la rotta, combattere l’impunità, ma da dove comincia- re? Dall’educazione: questa è la risposta, senza per questo dimentica- re la dimensione giuridica. Una delle priorità del Regno Unito per il 2016 è quella di affrontare ad esempio la stigmatizzazione dei soprav- vissuti che sono vittime di violenza e per questo sono emarginati dal- le loro famiglie e comunità. Ecco perché è molto importante la pre- senza dei religiosi, ma noi dobbiamo andare ancora oltre, garantendo alle vittime norme internazionali e una possibilità concreta di un reinserimento nella società. Lo stupro, più dell’omicidio, semina terrore tra i civili, disgrega le famiglie, distrug- ge le comunità e, in alcuni casi, modifica la composizione etnica della generazione successiva. Cosa fanno le nazioni per cancellare definitivamente la cultura dell’im- punità per questi crimini, che sappiamo praticati anche tra le file dei peacekeeper? Sono centinaia di migliaia le donne che nel corso delle guerre ven- gono violentate e stuprate e senza alcun dubbio si tratta di una gra- vissima violazione dei diritti umani. Purtroppo abusi sessuali da par- te di caschi blu sono stati documentati dalla Bosnia e il Kosovo fino alla Cambogia, a Timor Est, nell’Africa occidentale e in Congo. L’Onu ha adottato una linea di “tolleranza zero” nei confronti di questi crimini e un codice universale di condotta che fa parte inte- grante della formazione dei peacekeeper. E quando le accuse di vio- lazioni da parte di personale dell’Onu sono accertate, i responsabili vengono rimpatriati e banditi per sempre da future operazioni di peacekeeping. L’Onu cerca di perseguire i casi fin dove può, poi spetta ai tribunali e ai governi nazionali fare la loro parte. La comu- nità internazionale ha riconosciuto finalmente che la violenza sessua- le non è solo un problema individuale delle vittime, ma mina la sicu- rezza e la stabilità delle nazioni e in quest’ottica bisogna esortare i governi di tutto il mondo a rispettare i loro obblighi sui diritti umani e fare di più per prevenire le violazioni dei diritti umani e gli abusi. Il passo successivo vedrà l’istituzione di un protocollo internazionale A pagina 6 nella foto grande una bambina in un campo profughi in Sud Sudan (Ap) Joyce Anne Anelay, baronessa Anelay di St Johns, è nata il 17 luglio 1947. È ministro di Stato del ministero degli Esteri e del Commonwealth dal 6 agosto 2014. Tra le principali protagoniste del summit delle Nazioni Unite sul peacekeeping a Londra, ha denunciato severamente il fenomeno delle violenze e degli abusi sessuali commessi da caschi blu in missione. È la rappresentante speciale del primo ministro per la prevenzione della violenza. Joyce Anne Anelay

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