donne chiesa mondo - n. 50 - ottobre 2016

DONNE CHIESA MONDO 22 DONNE CHIESA MONDO 23 N on sono molti i film che hanno come argomento centrale lo stu- pro di guerra. Forse l’unico che nel passato ha affrontato esplici- tamente il tema è stato La cio- ciara (Vittorio De Sica, 1960), tratto dall’omoni- mo romanzo di Alberto Moravia, in cui la pro- tagonista, interpretata da Sofia Loren, viene vio- lentata insieme alla giovanissima figlia per ma- no di un gruppo di goumier durante la seconda guerra mondiale, poco prima della fine dell’oc- cupazione tedesca. Il regista italiano in questo caso dimostra un coraggio avanti coi tempi, ma non altrettanta sensibilità, almeno nei momenti cruciali: la scena in cui qui si rappresenta lo stupro svela accorgimenti espressivi tutt’altro diversi. Ambientato durante la guerra del Viet- nam, Vittime di guerra (1989) racconta il fatto realmente accaduto di un plotone dell’esercito americano che violenta e uccide una cittadina vietnamita, sulla spinta del cieco odio per il ne- mico. De Palma non si tira indietro davanti all’orrore, e il tono del racconto è indignato e piuttosto antipatriottico, ma il tema della vio- lenza è inserito in quello più ampio della guerra che porta a una sostanziale follia. Completa- mente diverso è invece il taglio adottato per il più recente Redacted (2007), in cui la violenza avviene sullo sfondo della guerra in Iraq. Qui De Palma cerca il più assoluto realismo, affidan- dosi a spezzoni di finti documentari, pagine di internet, schermi di cellulari, telecamere di sor- veglianza. La scena della violenza è molto cru- da, ma giustificata da un racconto stavolta del tutto sincero. Ci sono poi pellicole che trattano delle con- seguenze che il trauma produce a distanza di tempo. Il segreto di Esma (Jasmila Zbanic, 2006) — vincitore dell’Orso d’oro — e La donna che canta (Denis Villeneuve, 2010), rispettivamente sulla guerra civile in Bosnia e su quella in Liba- no, sono due film ben diretti e soprattutto ben recitati, in cui si raccontano i drammi di due generazioni. Quella delle madri violentate che faticano a reinserirsi nella vita normale, e quella dei figli che scoprono con sconcerto di essere nati da quel crimine terribile. Il film migliore sull’argomento, però, è forse il recente Agnus Dei (Anne Fontaine, 2016). Vit- time della violenza sono in questo caso delle suore di un convento polacco per mano di sol- dati sovietici durante la seconda guerra mondia- le. La regista lussemburghese riesce a tratteggia- re con straordinaria sensibilità gli animi in tu- multo delle protagoniste, in bilico fra il rifiuto di un qualcosa che va completamente contro la propria scelta religiosa, e l’inevitabile emozione per una nuova vita che arriva. che appropriati. Lo zoom sul volto della ragaz- za nel momento della violenza può essere para- gonato al famoso — e molto più spesso condan- nato — carrello in avanti sulla vittima di un la- ger in Kapò . Come lì, c’è un’enfasi grossolana e non richiesta, e quindi un sensazionalismo del tutto fuori luogo. Molto più convincente è il fi- nale del film, in cui vediamo quali conseguenze ha avuto la violenza sulla giovanissima protago- nista. Un caso singolare è quello di Brian De Pal- ma. Il regista americano specializzato in thriller hitchcockiani ha affrontato l’argomento dello stupro di guerra per due volte, sfruttando prati- camente lo stesso soggetto in entrambi i casi, mettendolo però in scena in modi radicalmente Uno zoom sulla violenza di E MILIO R ANZATO F OCUS di L UCIA C APUZZI P er diciannove interminabili udienze sono rimaste imprigionate nei co- loratissimi scialli. Il volto, i capelli, le mani, tutto era coperto. La stoffa pesante occultava ogni centimetro di pelle e di umanità. Im- mobili fagotti maya. Si sono presentate al mondo con l’immagine che gli aguzzini le cucirono violentemente indosso, 34 anni fa. Ancora una volta. L’ultima volta. Perché, appena il giudice Jazmín Barrios ha terminato di leggere la sentenza, le braccia si sono levate verso l’alto, spontanee. Uno dopo l’altro, i manti si sono aperti, liberando il viso. Labbra e occhi sono saltati fuori. E nell’aula è risuonato il grido: Mak´al li qa xiw (“non abbiamo più paura”). Allora, il 26 feb- braio scorso, l’incubo è veramente finito per le undici eroine di Se- pur Zarco — come le ha ribattezzate la stampa locale — ed è nata una nuova speranza per le migliaia e migliaia di guatemalteche stuprate, torturate, schiavizzate durante la guerra civile (1966-1996). Uno dei conflitti più feroci del Novecento, in cui anche i corpi delle donne furono trasformati in campi di battaglia. Nel silenzio generale. Tanto Affinché non si ripeta mai più

RkJQdWJsaXNoZXIy