donne chiesa mondo - n. 47 - giugno 2016

DONNE CHIESA MONDO 12 DONNE CHIESA MONDO 13 acceso movimento di protesta, una sollevazione non armata e manife- stazioni che vengono represse nel sangue. Nasimi Elshani, compianto dalla madre e dalle altre donne della veglia funebre, è una delle vitti- me di quella repressione. Il giovane aveva ventott’anni. L’immagine di dolore evoca le sofferenze di tutte le madri in un grido che attraversa il tempo: l’immagine è vibrante, l’immagine è sorprendente. La pietà cristiana e la fotografia contemporanea si con- giungono come in una scena eterna di compassione. La madre addo- lorata sta accanto al figlio morto. Ma, laddove la Pietà rimanda alla Passione di Cristo che i vespri meditano al momento della deposizio- ne dalla croce, la fotografia coglie dal vivo un rituale funerario mu- sulmano, al quale partecipano solo le donne, mentre gli uomini resta- no in un’altra stanza prima di accompagnare la salma al cimitero. Unite in uno stesso dolore, le due immagini si distinguono dunque radicalmente, evocando una il mondo cristiano, l’altra il mondo mu- sulmano. La fotografia di Georges Mérillon inoltre non riproduce un modello, come si direbbe per esempio di una copia. Non copia dun- que la Pietà medievale: non c’è nessuna ripetizione degli archetipi della pittura occidentale. Al contrario, l’icona fotografica sembra in- dicare la continuità di un’immagine in movimento. Richiama così su- bito alla mente l’immagine medievale della Pietà ma, ancor prima di essa, le scene di compianto dipinte sui vasi antichi. Il fondamento cultuale comune dei Balcani, in cui s’intrecciano le religioni cristiane e musulmane, non dimentichiamolo, è sempre quello dell’antichità greca. Prefiche dell’antichità, mater dolorosa medievale, Pietà del Kosovo: la fotografia di Georges Mérillon è come la forma che ritorna di un’immagine in movimento, la cui rilevanza il pensiero greco aveva già colto a suo tempo. La fotografia risponde ancora alla definizione dell’immagine così come lo storico Aby Warburg la concepisce con- cretamente nel primo decennio del Novecento. Il pensatore di origi- ne ebraica — come il suo contemporaneo Mallarmé — voleva intro- durre a «una fisica delle passioni e a una storia dell’umanità sofferen- te», cercando nelle opere le espressioni collettive delle sofferenze che attraversano la storia. Lo scopo dello storico dell’arte è in effetti di sapere come la sofferenza o il pathos vissuto dall’uomo, il più delle volte determinato da un linguaggio gestuale — come per esempio un gesto di lamento — dia vita all’opera d’arte: in altre parole, a una “forma” che Warburg chiama Pathosformel (“formula di pathos”). Da allora ogni immagine di sofferenza è come un’immagine boo- merang, portando la forza del passato nel presente, in altre parole, creando la sua memoria. Di fatto, per Aby Warburg «la memoria è Andrea Mantegna, «Lamento sul Cristo morto» (particolare, 1475-1478) A pagina 14, una scena del film «Il vangelo secondo Matteo» di Pier Paolo Pasolini (1964) Le vedove indù e il colore proibito Hanno manifestato per le strade di Lalitpur in cinquecento contro una pratica tradizionale della loro religione che le discrimina da secoli. Secondo un’usanza della confessione indù, le donne che rimangono vedove sono costrette a portare il lutto per il resto dei loro giorni, devono eliminare dal loro abbigliamento tutto ciò che è rosso e sono obbligate a vestire solo di bianco. Tutto questo porta a una discriminazione ed emarginazione di fatto da ogni attività lavorativa e sociale. Lo slogan della manifestazione era: “Rispetto per le donne vedove ricoperte di rosso”. Più praticanti degli uomini A livello globale ci sono più donne che uomini che si identificano con una D AL MONDO >> 15

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