donne chiesa mondo - n. 29 - novembre 2014
L’OSSERVATORE ROMANO novembre 2014 numero 29 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo Donne intellettuali Anche se oggi le donne svolgono nuovi ruoli nella vita culturale della Chiesa — una donna è stata nominata rettore di un’università pontificia, una studiosa riceve il premio Ratzinger, religiose editrici festeggiano il centesimo anniversario — frutto anche della provvidenziale decisione conciliare di aprire alle donne lo studio e l’insegnamento della teologia, la storia ci ricorda che nei secoli passati non sono mancate donne che hanno contribuito alla costruzione della tradizione cattolica, in misura non inferiore agli uomini. È stata Elena, la madre di Costantino, a inventare il pellegrinaggio ai luoghi santi e il culto delle reliquie di Gesù; Brigida a offrire con le sue visioni immagini fondamentali per la raffigurazione artistica dei momenti decisivi della narrazione evangelica; Teresa d’Ávila a trasformare l’esperienza mistica in qualcosa di raccontabile e quindi imitabile; Margherita Maria Alacoque a proporre quello che è diventato il simbolo devozionale di maggior successo nel mondo cattolico, il Sacro Cuore; madre Teresa a insegnare che assistere i moribondi nell’inferno di Calcutta era importante tanto quanto curare e guarire. Così si potrebbe continuare a lungo, perché le donne con la loro intelligenza, fantasia, fede e intuizioni hanno dato alla costruzione della cultura della Chiesa un contributo importante. Che però spesso è stato dimenticato, o non riconosciuto nel suo valore intellettuale. Per esempio, mentre anche nella cultura cattolica oggi trovano posto — e non possiamo che rallegrarcene — intellettuali quali Etty Hillesum e Simone Weil, rimangono poco note e misconosciute donne cattoliche che, nel ventesimo secolo, possono a buona ragione essere loro avvicinate: non solo, infatti, Dorothy Day, Adrienne von Speyr e Catherine Doherty sono state scrittrici di talento, ma hanno dato un contributo spirituale di alto livello. Tutte hanno individuato nuovi percorsi spirituali adatti alla società moderna, e hanno dedicato la loro vita a diffonderli con un entusiasmo e un calore che le hanno rese capaci di risvegliare la fede in contesti che sembravano solo respingerla. Perché dimenticarle o emarginarle, quando fanno parte a buon diritto della tradizione culturale cattolica e hanno ancora molto da dire a donne e uomini di oggi? ( l.s. ) Altrimenti non sarebbe Chiesa Intervista a suor Mary Melone, prima donna a guidare un’università pontificia di G IULIA G ALEOTTI «Apprezzo particolarmente questa doman- da — esclama suor Mary Melone, teologa cinquantenne da giugno a capo dell’Anto- nianum — perché finora le domande rivol- temi sono state tutte incentrate sul fatto di essere la sola donna eletta in Italia alla guida di un’università pontificia. C’è in- fatti una precisazione importante da fare: i criteri in base ai quali i miei colleghi mi hanno votata non sono criteri di genere, ma criteri accademici e scientifici che valu- tano la competenza in termini di docenza e di ricerca. Si fanno due votazioni, la pri- ma aperta, la seconda ristretta tra i dieci nomi che hanno ricevuto più consensi». La bella notizia si avrà quando non verremo più a intervistarla perché unica donna al vertice di un’università pontificia. (Ride) . Sono consapevole di cosa rap- presenti la mia nomina: il numero di don- ne, sia religiose sia laiche, che opera a questo livello nelle università, sebbene sia aumentato significativamente negli ultimi tempi, non è ancora uguale o minimamen- te paragonabile a quello degli uomini. An- che nell’ambito della teologia c’è ancora del cammino da fare. Dal punto di vista del pensiero teologico, anche nei secoli passati abbiamo avuto rare ma significati- ve figure femminili cui si devono riflessio- ni preziose su Spirito Santo e Trinità. Cer- to, docenza e accesso agli studi curriculari restano un fatto post-conciliare, ma da al- lora in poi molto è stato fatto. La matura- zione, però, non dimentichiamolo, ha in- teressato anche l’atteggiamento delle don- ne: a fasi in cui era più evidente la riven- dicazione, sono subentrate fasi di maggio- re consapevolezza della propria rilevanza e della possibilità di dare un apporto im- portante al mondo della teologia. Oggi è indubbio che, per tanti motivi, il pensiero teologico femminile è più maturo e più se- reno. Non solo perché accettato diversa- mente nella Chiesa, ma anche perché le donne sono in modo diverso consapevoli delle proprie possibilità. Il Papa ha invitato a compiere una profonda teologia della donna. Non vorrei certo interpretare le sue pa- role, ma penso che l’esigenza sia quella di riconoscere il significativo apporto che la donna dà al mondo della fede e a quello ecclesiale accostandosi nel suo modo pre- cipuo al mistero di Dio. Più in là della teologia fatta dalle donne, a mio avviso c’è bisogno — oltre che di posizioni istitu- zionali — di riconoscere che l’apporto fem- minile è, non solo necessario, ma comple- mentare a quello maschile. Tutte riflessioni applicabili, più in generale, alla vita della Chiesa. Sicuramente dal concilio in poi abbia- mo fatto passi notevoli anche in termini di inserimento delle donne in ruoli ecclesiali significativi, ma quello che manca — e nel- la Evangelii gaudium è scritto chiaramente — è la presenza di donne in luoghi deci- sionali. La questione è molto complessa perché la Chiesa è una realtà complessa, e da questo punto di vista il binomio cari- sma/ministeri ha anche un riferimento a ministeri ordinati che ovviamente non possono essere ignorati. L’accesso a ruoli decisionali va dunque contestualizzato nella realtà stessa della Chiesa. La Chiesa non comprende che altrimenti così si impoverisce. Quando si riflette su questi argomenti, si torna a verità semplici ed essenziali: so- no tanti i motivi per cui la Chiesa non può prescindere dalle donne. Non può farlo perché altrimenti non sarebbe Chiesa nella sua totalità. Non può farlo perché l’apporto femminile, per quanto silenzioso e forse meno evidente, è assolutamente in- dispensabile: io sono una religiosa e penso al numero di religiose che hanno sulle lo- ro spalle così tante opere. Non mi riferisco solo alla quantità materiale di scuole, ospedali e missioni gestite da religiose e, più in generale, da donne, ma anche — e soprattutto — alle loro capacità e compe- tenze. Per illustrare una dimensione della Chiesa, occorre ricordare che ci sono ope- re sulle quali gli istituti religiosi femminili hanno puntato in anticipo sui tempi della società civile. Pensiamo, ad esempio, alle scuole: abbiamo creato, con competenza e lungimiranza, strutture educative quando non esisteva nulla. Questo nel mondo francescano è particolarmente evidente: gli istituti femminili francescani sono entrati in dialogo con l’epoca moderna molto pri- ma di quanto non abbiano fatto i frati, le- gati a una struttura diversa. Nati quasi tutti tra la metà e la fine Ottocento, gli istituti femminili francescani fioriscono dialogando con la società, grazie alla loro capacità di leggere le attese dell’epoca moderna. Solo gli istituti femminili fran- cescani riescono a farlo, mentre l’ordine ha un suo momento di ripensamento in- terno. In questo senso dico che la Chiesa non può fare a meno delle donne! Credo nome che per noi francescani è tutto. Un nome che era già un messaggio molto chiaro. San Francesco parla tutte le lin- gue, non credo ci sia una realtà, soprattut- to ecclesiale, che non si senta immediata- mente in sintonia con la sua figura. Ed è verissimo che chi guarda Francesco non può non vedere Chiara: lo stesso France- sco non si pensa senza Chiara, nel senso che riconosce il contributo sostanziale di questa donna. Lo studio del rapporto tra i due è molto complesso, nell’ambito del mondo francescano assorbe molta atten- zione, proprio perché bisogna liberarsi da certi stereotipi che vedono il legame tra loro in modo unidirezionale. Invece Chia- ra ha contribuito alla configurazione del carisma francescano. Pochi, ad esempio, conoscono le sue lettere, eppure sono testi estremamente significativi da cui emerge una maturità spirituale di cui Francesco era senz’altro consapevole e partecipe. Il loro è un rapporto di complementarietà in cui l’uno ha, in qualche modo, bisogno dell’altro. Molti sono gli aneddoti traman- dati che, sebbene in maniera episodica, veicolano questa realtà di cui si è consape- voli nel mondo francescano. Penso al fa- moso episodio in cui da Assisi videro un fuoco nei pressi di Santa Maria degli An- geli: pensarono a un incendio, invece era il dialogo spirituale tra Chiara e France- sco, con la fiamma a simboleggiare l’in- tensità di una vita spirituale condivisa. O pensiamo al famoso episodio di Francesco che va da Chiara perché lei ha bisogno di Francesco e Francesco sente il bisogno di Chiara: lui va da lei a San Damiano, offi- cia una liturgia estremamente semplice, si copre il capo di cenere e si allontana. Un episodio che incarna alla perfezione la complementarietà all’interno di una voca- zione di totale dedizione al Signore in cui i due camminano insieme. Sono del resto molte le coppie di santi che testimoniamo questa complementarietà: ecco, forse, il linguaggio della santità — un linguaggio molto diverso da quello della teologia — è capace di vivere concretamente questo aspetto, su cui poi la teologia riflette. La necessità di una complementarietà di ap- procci: la logica evangelica di Francesco, il suo stile e il modo in cui egli segue il Si- gnore, sono tutti aspetti che vengono ar- ricchiti grazie al sentire femminile di Chiara, nonostante il carisma sia lo stesso. Qui all’Antonianum abbiamo dedicato un anno di studio a maschile e femminile nel- la vocazione francescana proprio per recu- perare questa complementarietà. Le sue parole sono ottimiste: sappiamo che il problema tra donne e Chiesa esiste, ma ab- biamo gli strumenti per affrontarlo! So di avere avuto un’esperienza persona- le fortunata: ho sempre trovato un ambien- te molto aperto e questo sicuramente mi porta a essere molto serena. Ma è vero an- che che portare nel mondo ecclesiale criteri di quote che la società laica deve invece, giustamente, adottare, non è corretto: la nostra comunità ecclesiale non è una socie- tà qualsiasi, lo spessore carismatico della Chiesa impedisce di fare un parallelo con la società civile dove è giusto venga garan- tito un tot di presenze femminili. Noi dob- biamo pensare a una Chiesa fatta di cari- smi e di ministeri. Ciò però non toglie che sono ben consapevole delle resistenze che ci sono nel mondo ecclesiale: dopo la mia nomina, ho avuto tantissime attestazioni in cui si esprimeva la gioia per questa ennesi- ma dimostrazione della nuova primavera in qualche modo legata al Papa, ma ho rice- vuto anche alcuni messaggi in cui, in nome di san Tommaso e di san Paolo, venivo pregata di dimettermi perché ero stata elet- ta a un ruolo non consono alla donna. È la dimostrazione di quanto siamo ancora lon- tani da una visione libera di una Chiesa che è comunione. Nella Lumen gentium , il Vaticano II ha chiaramente detto che la Chiesa ha la sua origine, modello e meta nella Trinità: l’aspetto comunionale, dun- que, non è semplicemente una scelta di equilibrio e di funzionalità, ma è la realtà intima della Chiesa. La Trinità è la massi- ma unità nella massima distinzione. Rima- nere nella diversità e nella distinzione tra uomini e donne, tra servizi e ministeri di- versi, è la garanzia per una vera comunio- nalità ecclesiale. Questo, a volte, nemmeno noi donne lo abbiamo capito, ad esempio quando abbiamo cercato di uniformarci a tutti i costi agli uomini. Non sono femmi- nista per natura, ma sono orgogliosa della diversità, credo che il più grande femmini- smo sia non alimentare nell’uomo l’idea che ci sentiamo realizzate solo quando di- ventiamo uguali a lui! La realtà della don- na è in sé talmente completa e bella che non ha bisogno di modellarsi su quella ma- schile. Non sono femminista per natura ma credo che il più grande femminismo sia non alimentare nell’uomo l’idea che ci sentiamo realizzate solo quando diventiamo uguali a lui Nata a La Spezia nel 1964, dopo la maturità classica Mary Melone entra nelle suore francescane angeline, dove emette la professione perpetua nel 1991. L’anno dopo si laurea alla Lumsa in pedagogia, studiando poi teologia all’Antonianum. Preside dell’Istituto superiore di Scienze religiose Redemptor Hominis (2001- 2008), nel 2011 viene eletta decano di teologia da un collegio maschile. Presiede la Società italiana per la ricerca teologica. donne chiesa mondo Giovan Pietro Naldini, «La cena di San Francesco e Santa Chiara» Nancy Earle, «Circle of Friends» (1997) sarebbe un impoverimento misconoscere che la donna ha una sua ricchezza da mettere a servizio della Chiesa. Quando Bergoglio si affacciò dalla Loggia delle benedizioni, sentendo il nome scelto, pen- sammo anche al rapporto tra Francesco e Chiara, splendida pagina di amicizia parita- ria tra una donna e un uomo. Ero anch’io in piazza San Pietro quella sera. Ricordo l’emozione nell’ascoltare un
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