donne chiesa mondo - n. 28 - ottobre 2014
N donne chiesa mondo ottobre 2014 Nata nel 1961 in Argentina, dottore in teologia — ha stu- diato, fra l’altro, a Tübingen sotto la direzione di Peter Hü- nermann — dal 1988 Virginia Raquel Azcuy insegna alla fa- coltà di teologia della Pontifi- cia Università cattolica argen- tina, con sede a Buenos Aires. Coordinatrice generale di Teo- loganda (programma di studi, ricerche e pubblicazioni), è vicepresidente della Società argentina di teologia e presiede il programma Icala dello Stipendienwerk Lateinamerika- Deutschland, per la promozio- ne scientifica di donne in Ame- rica latina. Il Vangelo, carta fondamentale sulla dignità delle donne di V IRGINIA R. A ZCUY el Documento di Aparecida i vescovi insegnano che «l’uomo e la donna, creati a immagine e somiglianza di Dio, possiedono una dignità inviolabile, al servizio della quale vanno concepiti e attuati i valori fondamentali che reggono la convivenza umana» (n. 537). Dinanzi alla realtà indegna che molte donne vivono, essi non esitano a esortare al cambiamento: «Occorre prendere coscienza della situazione precaria che lede la dignità di molte donne; alcune fin da bambine e da adolescenti vengono sottoposte a molteplici forme di violenza dentro e fuori casa» (n. 48); «Occorre ascoltare il grido, tante volte soffocato, di donne che vengono sottoposte a molte forme di esclusione e di violenza» (n. 454). Questi orientamenti pastorali sono una parte della ricezione locale del concilio Vaticano II e del magistero di Paolo VI , quella che hanno sviluppato le Conferenze generali dell’Episcopato dell’America latina e dei Caraibi, creando una tradizione teologica, ecclesiale e pastorale d’impegno solidale verso le persone povere e afflitte. Medellín (1968) significò l’attivazione di una Chiesa motivata dalla promozione umana e l’inizio delle teologie della liberazione; a Puebla (1979) si ufficializzò l’«opzione preferenziale per i poveri» (n. 1134 e seg.) che Giovanni Paolo II universalizzò con la sua lettera enciclica Sollicitudo rei socialis (1987). L’impulso creativo delle Chiese latinoamericane nella seconda metà del XX secolo apportò alla Chiesa universale una rinnovata opzione per i più bisognosi. Perché, chi sono i «poveri e sofferenti» del concilio Vaticano II ? (cfr. Lumen gentium , n. 8; Gaudium et spes , n. 63; 69). Sono proprio tutte quelle persone e quei gruppi umani privati della loro dignità fondamentale. Cristo, che «da ricco che era, si è fatto povero» ( 2 Corinzi , 8, 9; cfr. Filippesi, 2, 6-11), fu solidale con esse nella sua incarnazione e passione redentrice per dare loro la vita (cfr. Giovanni, 10, 10). In America latina la realtà dei poveri portò a riconoscere i diversi volti dell’esclusione: le donne, gli indigeni, gli afro-discendenti, i migranti e altri. La risposta profetica dinanzi alle aspirazioni popolari a una vita umana degna suscitò diverse prospettive teologiche a favore della loro liberazione integrale (cfr. Evangelii nuntiandi , n. 30 e seguenti): teologie per i poveri, per una vita piena per le donne, per i popoli indigeni. Di fronte ai nuovi soggetti emergenti sorsero nuove posizioni credenti e acquistarono forza quelle che proclamavano la dignità delle donne, la loro libertà e liberazione. Insomma, la Chiesa cattolica latinoamericana prese coscienza dell’inaccettabile situazione disumanizzante che molte donne vivevano: Puebla parlò della «donna povera come doppiamente oppressa» ( Documento di Puebla , DP , n. 1135, nota); la teologia della donna completò il quadro dicendo: se una persona è povera e donna, è doppiamente esclusa, e se è povera, donna e nera [o indigena], lo è triplamente. Perché le diversità che sostengono l’esclusione sono accumulabili (cfr. Documento di Aparecida [ DA ], n. 454). Santo Domingo (1992) riassunse la situazione delle donne con parole di sfida: «A colei che dà e difende la vita viene negata una vita degna; la Chiesa si sente chiamata a stare dalla parte della vita e a difenderla nella donna». Aparecida (2007) ha continuato il cammino iniziato dalle conferenze precedenti con alcune novità: ha ampliato i fondamenti dottrinali sulla pari dignità, ha introdotto una critica alla mentalità maschilista e l’uso del linguaggio inclusivo e ha approfondito le proposte di rinnovamento culturale ed ecclesiale. Le mie riflessioni partono dalla dignità umana, poiché questa appare a volte esplicitata come dignità della donna, e propongono la promozione umana delle donne come «verità implicita nella fede cristologica», seguendo un’idea-forza di Benedetto XVI espressa nella V Conferenza. Come criterio di dignità della donna e del suo valore insostituibile, Aparecida sottolinea in primo luogo la condotta di Gesù in un’epoca di marcato maschilismo: «Parlò con loro (cfr. Giovanni, 4, 27), ebbe particolare misericordia con le peccatrici (cfr. Luca, 7, 36- 50; Giovanni, 8, 11), le curò (cfr. Marco, 5, 25- 34), le rivendicò nella loro dignità (cfr. Giovanni, 8, 1-11), le scelse come prime testimoni della sua risurrezione (cfr. Matteo, 28, 9-10), e inserì delle donne nel gruppo di persone a lui più vicine (cfr. Luca, 8, 1-3)» ( DA , n. 451). In verità, il Vangelo di Gesù rappresenta la carta fondamentale sulla dignità delle donne. Innanzitutto occorre ricordare che «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna [Maria]» ( Galati, 4, 4) e che, in lui, «non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna» (3, 28); inoltre fu una donna la prima a essere inviata ad annunciare la risurrezione ai propri fratelli, proprio come in precedenza era stata una samaritana a essere inviata ad annunciarlo tra la sua gente (cfr. Giovanni, 20, 17; 4, 26.29.39). A giusto titolo Aparecida presenta le donne come «le prime a trasmettere la fede e a collaborare con i pastori, i quali devono assisterle, valorizzarle e rispettarle» (n. 455). Nei testi cristologici che parlano della dignità umana risalta questo paragrafo: «Lo benediciamo [Dio] per averci fatto figlie e figli suoi in Cristo, per averci redento al prezzo del suo sangue e per il rapporto duraturo che stabilisce con noi, che è fonte della nostra dignità assoluta, innegoziabile e inviolabile» ( DA , n. 104). I vescovi accolgono la sfida di «innumerevoli donne che non sono valorizzate nella loro dignità» ed esortano a «superare una mentalità maschilista che ignora la novità del cristianesimo» ( DA , n. 453). Il maschilismo o sessismo, inteso come un modo di pensare e di agire che fomenta la discriminazione della donna a motivo della sua differenza sessuale, porta a una rottura della mutualità nel rapporto uomo-donna e contraddice l’antropologia cristiana che proclama la loro uguale dignità in quando entrambi creati a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Discorso nella sessione inaugurale dei lavori [ DI ], n. 5; DA , n. 451). Ad Aparecida s’interpella inoltre la responsabilità dell’uomo e padre di famiglia dinanzi alla «tentazione di cedere alla violenza, all’infedeltà, all’abuso di potere, alla tossicodipendenza, all’alcolismo, al maschilismo, alla corruzione e all’abbandono del suo ruolo genitoriale» ( DA , n. 461). Questa «mentalità maschilista» genera situazioni contrarie al piano di Dio (cfr. Gaudium et spes , n. 29), che si possono interpretare come peccato sociale in quanto generano una dislocazione nelle relazioni familiari e sociali. Allora, quale deve essere l’annuncio delle Chiese cristiane? Benedetto XVI ha ricordato il problema delle strutture che creano ingiustizia e ha riaffermato il valore delle strutture giuste come condizione indispensabile per una società giusta (cfr. DI , n. 4). Quando il maschilismo penetra nelle strutture, non c’è più spazio per la dignità, la partecipazione e le relazioni di reciprocità nell’amore e nella cura reciproca; perciò non basta la conversione del cuore, occorre anche una trasformazione delle strutture. Come risposta alla situazione di disuguaglianza e di violenza che molte donne vivono, bisogna prospettare un’antropologia inclusiva; questa si fonda sulla fede cristologica che ci invita a essere una Chiesa povera per i poveri, come ha chiesto Papa Francesco. Nel suo discorso inaugurale ad Aparecida, Benedetto XVI ha presentato l’unità dell’amore per Dio e per il prossimo, ha affermato che la fede in Cristo e la vita in lui non sono una fuga intimista, bensì un atto di responsabilità verso gli altri. Perciò ha affermato che l’opzione preferenziale per i poveri è implicita nella fede cristologica, in quel Dio che si è fatto povero, per arricchirci con la sua povertà (cfr. DI , n. 3). Ha altresì criticato la persistente mentalità maschilista che ignora la novità del cristianesimo (cfr. DI , n. 5). Aparecida ha affrontato entrambi gli aspetti: ha affermato che l’opzione per i poveri «nasce dalla nostra fede in Gesù Cristo, il Dio fatto uomo, che si è fatto nostro fratello (cfr. Ebrei, 2, 11-12)» e ha aggiunto che «se questa opzione è implicita nella fede cristologica (…) siamo chiamati a contemplare, nei volti sofferenti dei nostri fratelli, il volto di Cristo che ci chiama a servirlo in loro». Qualcosa di simile si potrebbe dire su Cristo e le donne: la promozione della dignità della donna nasce dalla nostra fede in Gesù Cristo, il Dio fattosi uomo e nostro fratello. Nella persona e nella condotta di Cristo, il mistero della donna viene esaltato, la fede in lui comporta per noi un impegno con la vita piena di ogni donna e di ogni essere umano. Quando penso alla dignità delle donne come verità implicita nella fede cristologica, non penso anzitutto a quelle che si trovano in situazioni di povertà; lo faccio piuttosto in modo inclusivo. La dignità di ogni persona umana, uomo o donna, è inclusa nella fede in Cristo, perché in Lui siamo stati creati e redenti (cfr. DA , n. 104). L’obiettivo è di affermare la dignità delle donne come priorità etico-religiosa. Per Papa Francesco, la presenza delle donne, soprattutto negli ambiti in cui si prendono decisioni nella Chiesa e nella società, deve diventare più incisiva (cfr. Evangelii gaudium , n. 103). Poiché Cristo si è unito a ogni persona umana, uomo e donna, la fede in lui ha implicita in sé la buona novella della piena dignità per ogni uomo e ogni donna (cfr. Gaudium et spes , n. 22); la dignità delle donne e la dovuta solidarietà verso di esse è una verità implicita nella fede cristologica, che include in modo speciale tutte le donne — anziane, adulte, giovani e bambine — che subiscono la disuguaglianza per la loro differenza sessuale e non possono partecipare pienamente alla vita religiosa e sociale. Una teologia della donna con mordente storico proclama la «uguale dignità tra uomo e donna, in quanto creati a immagine e somiglianza di Dio» ( DA , n. 451), benedice Dio «per averci fatto figlie e figli suoi in Cristo, per averci redento a prezzo del suo sangue» (n. 104), denuncia la violenza, l’abuso di potere e il maschilismo subito da molte donne, moglie e figlie (cfr. 461) e annuncia la dignità delle donne: discepole e sorelle di Gesù (cfr. 451). Quando noi donne facciamo teologia, ringraziamo per la tenerezza del Dio che ci fa sorelle e fratelli di suo Figlio, pensiamo all’uguale dignità e al dono della differenza, siamo solidali con tutte le donne che soffrono per mancanza di riconoscimento, partecipazione o accompagnamento, senza dimenticare le altre creature umane vittime dell’esclusione. Le teologie fatte dalle donne possono contribuire ad approfondire il Vangelo della dignità umana; non sono proprio queste teologie a poter aiutare a discernere il carisma delle donne nel corpo di Cristo e a suggerire i cammini di trasformazione necessari per il rinnovamento ecclesiale e sociale? (cfr. Evangelii gaudium , n. 104). l’autrice Pasquale Cati, «Il concilio di Trento» (1588, particolare) Amita Bhakta, «Circle of Women» (2010)
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