donne chiesa mondo - n. 27 - settembre 2014

L’OSSERVATORE ROMANO settembre 2014 numero 27 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo Gli uomini Sogno di bambino A colloquio con il cardinale Gerhard Müller che guida l’antico e temibile Sant’Uffizio di L UCETTA S CARAFFIA I l cardinale Müller — prefetto della Congregazione per la dottrina del- la fede, l’antico e temibile Sant’Uf- fizio, considerato un conservatore ratzingeriano in una curia romana che si sta aprendo a una visione meno ri- gida della tradizione cattolica — mi stupi- sce fin da subito ricevendomi nella sua ca- sa, a pochi passi dal Vaticano, in sandali e maglietta nera. Cordiale e allegro, si scusa per l’infor- malità della sua tenuta accennando al cal- do, e mi conduce nel suo bellissimo stu- dio, dove i libri sono riposti in perfetto ordine. Immediatamente mi ricorda che quello è stato l’appartamento del cardinale Ratzinger, e allora lo guardo con un oc- chio diverso, cercando di immaginare lì la presenza mite e l’amore per lo studio del Papa emerito. Gerhard Müller, un gigante renano, è diverso dal suo illustre predeces- sore di cui sta curando l’opera omnia: è molto estroverso e quasi scherzoso, nell’accennare al fatto che non vuole par- larmi di donne ma piuttosto della Madon- na. Riporto però la conversazione al no- stro tema, quello dei suoi rapporti con le donne, e mi parla con straordinario affetto della madre. «Penso che per ogni uomo costituisca un legame speciale, essendo legata alla sua ve- nuta al mondo. Oggi ripenso a lei con lo sguardo di un adulto, e mi rendo conto che è stata il mio primo, e più importante, punto di riferimento per ogni esperienza, a cominciare dalla preghiera. La ricordo an- cora la sera, seduta sul mio letto, che mi insegnava a pregare e a riconoscere la pre- senza di Gesù, un volto vero, un riferimen- to sicuro. Da lei ho ricevuto quel senso di fiducia originaria che è alla base di ogni fe- de, anche del rapporto di un bambino con Dio. Da lei ho capito che Dio si interessa- va veramente a me, che non era un astratto concetto filosofico. Nella stanza c’erano immagini di Maria, e siamo stati abituati fin da piccoli a rivolgerci alla Chiesa come a un aspetto del volto di Dio». Il legame fra la famiglia e la parrocchia era vivo e costante: gli chiedo quale sia stata la reazione dei genitori alla sua scelta sacerdotale, avvenuta dopo la frequenta- zione del liceo cattolico locale dove aveva incontrato buoni insegnanti, e anche otti- me professoresse, in particolare quelle di matematica e di inglese. «A quanto mi ricordi, da sempre ho avuto il desiderio di intraprendere la via sacerdotale, come testimonia un aneddoto di famiglia: raccontava mia madre che un giorno — avevo quattro anni — abbiamo incontrato il vescovo di Magonza, Albert Stohr, un ottimo teologo, che mi aveva molto impressionato, tanto che ho escla- mato: vorrei fare il vescovo da grande! Mia madre è stata una casalinga, molto attenta all’educazione dei quattro figli, due maschi e due femmine, che ha seguito sempre con sollecitudine e, se ci voleva, con severità. Mio padre era operaio alla Opel, ma per mantenere la famiglia nu- merosa lavorava anche come contadino. Le due sorelle maggiori sono state donne emancipate, impegnate nelle loro profes- sioni, una insegnante nelle scuole elemen- tari, l’altra impiegata in un’assicurazione. Oggi ho ventitré fra nipoti e pronipoti, e se qualcuno dice che noi sacerdoti siamo lontani dalla vita, penso a loro che mi ten- gono ben legato ai cambiamenti, ai pro- blemi di oggi». Alla mia domanda se, oltre a queste fi- gure familiari, ha anche coltivato rapporti di amicizia con donne, rimane in silenzio qualche istante. Poi mi parla delle buone suore del suo asilo d’infanzia, che ha con- tinuato a frequentare e negli anni successi- vi anche aiutato. Il suo ricordo va quindi alle giovani studentesse che ha incontrato quando insegnava, ma non sembra ci sia stato un rapporto di amicizia più stretto con qualcuna di loro. Certo parla con affetto delle due suore bavaresi che vivono con lui da tanti anni e con lui hanno condiviso le sue esperienze pastorali. «Ricordo in particolare che una di loro si è occupata per quarant’anni di bambini abbandonati, soprattutto quei bambini figli di famiglie che si sono rotte, e che soffrono di solitudine e abbandono. Per me è stato molto importante ascoltar- la, e condividere questa missione. Ho sempre pensato che il suo lavoro con i bambini fosse importante come il mio co- me vescovo». E non ha cambiato idea neppure da quando è prefetto: nella visita a Papa Francesco, quando gli ha presenta- to coloro che lavorano nella Congregazio- ne, ha voluto che fossero presenti anche gli addetti alle pulizie. Nella formazione di un cattolico colto c’è sempre spazio per libri scritti da don- ne, non è facile escluderle da una forma- zione teologico-spirituale. È stato così an- che per il cardinale. «Naturalmente, è sta- ta importante per me la lettura di Teresa d’Avila, insieme a quella dell’altra Teresa, di donazione di sé e di gestione ammirevole del potere». Ma qui passiamo ai problemi delle donne di oggi, che il cardi- nale ha conosciuto non solo in Germania, ma anche nei frequenti viaggi in America Latina. Lì Müller denun- cia l’infelice condizione delle donne, che nasce dall’instabilità della vita familiare — circostanza che costringe sempre più donne a sostenere da sole il carico dei figli da mantenere ed educare — e da una mentalità che non esita a definire machista . Rammen- ta inoltre che, quando era vescovo di Rati- sbona, ha collaborato strettamente con le diocesi dei Paesi dell’Est contro i trafficanti di donne immigrate che venivano portate in quelli occidentali con l’inganno, per fare le prostitute. E a questo proposito ricorda di avere incontrato molte difficoltà in am- bienti politici. Ovviamente la sua storia personale de- termina il suo atteggiamento nei confronti della collaborazione delle donne. «Oggi le donne sono collaboratrici benvenute negli uffici diocesani, dove svolgono tantissimi compiti, spesso direttivi, e ormai collabo- rano intensamente alla vita della Chiesa». Alla mia osservazione che le donne aiu- tano ma si lamentano di essere poco ascoltate, si stupisce: la sua esperienza tedesca è molto diversa, lì le donne contano davvero, e il loro ruolo è riconosciu- to ufficialmente — ricevono un salario — e non è solo assimilabile al volontariato. Anche nella congregazione per la dottrina della fede, Müller ha trovato già un buon numero di collaboratrici, che svolgono anche ruoli non secondari: non nasconde la stima per la sua segretaria, Clothilde Mason, e per altre collaboratrici, quasi tutte donne spo- sate con famiglia. E fa presente che si in- contrano anche delle difficoltà a chiamare a collaborare presso la Congregazione del- le teologhe che, se hanno famiglia, non sono disponibili a trasferirsi a Roma. Mi anticipa inoltre che la nuova Commissione teologica internazionale, che sta per essere nominata dal Papa, conterà un numero di donne maggiore di quella uscente: mi sembra di capire che passeranno da due a cinque o sei. A proposito della presenza femminile nella vita della Chiesa — che lui individua come molto diversa da quella maschile an- che per quanto riguarda la ricerca teologi- ca — il cardinale ricorda uno scritto di Bergoglio sui gesuiti, nel quale il futuro Papa sottolinea come la differenza fra cat- tolici e calvinisti stia proprio nella capacità dei cattolici di prendere in considerazione anche le emozioni, e non solo l’intelletto, nella via che porta a Dio. È una riflessione che colpisce, soprattut- to oggi che le confessioni protestanti han- no aperto le porte al ministero femminile, e quindi apparentemente sono più “femmi- niste” di quella cattolica: Müller sottolinea in questo modo come la presenza femmini- le debba essere riconosciuta nella sua spe- cificità, non nel suo imitare il modello ma- schile. Per questo egli insiste sul fatto che bisogna ricordare che la Chiesa deve essere madre, non istituzione, perché un’istituzio- ne non si può amare, una madre sì. E mo- dello della Chiesa è proprio la famiglia, prima Chiesa domestica, in cui le donne svolgono un ruolo decisivo ma diverso. L’ultima domanda è la più scottante, sulla conflittuale vicenda delle suore ame- ricane della Leadership Conference of Wo- men Religious, con le quali il cardinale ha recentemente sostenuto una complessa trattativa. «Intanto dobbiamo tenere pre- sente che non sono tutte le suore america- ne, ma un gruppo di suore del Nord Ame- rica riunite in un’associazione. Abbiamo ri- cevuto molte lettere addolorate di altre suore, appartenenti alle stesse congregazio- ni, che soffrono molto per l’indirizzo che esse danno alla loro missione. E poi le congregazioni non hanno più vocazioni, ri- schiano di estinguersi. Abbiamo cercato in- nanzi tutto di stabilire un rapporto meno conflittuale, di far calare la tensione, anche grazie al vescovo Sartain che abbiamo mandato a trattare con loro, un uomo mol- to mite. Dobbiamo innanzi tutto chiarire che non siamo misogini, non vogliamo mangiare ogni giorno una donna! Abbia- mo senza dubbio un diverso concetto di vita religiosa, ma speriamo di aiutarle a ri- trovare la loro identità». Senza dubbio il cardinale Müller, il te- desco che dopo lo statunitense Levada è succeduto a Ratzinger nella posizione for- se più difficile nel governo della Chiesa, vuole instaurare con le donne rapporti cordiali e aperti, di vera collaborazione, senza pensare a grandi rivoluzioni interne. La Chiesa deve essere madre non istituzione Perché un’istituzione non si può amare ma una madre sì Non siamo misogini non vogliamo mangiare una donna al giorno Siamo favorevoli a lavorare per una vera collaborazione nella Chiesa Nato a Finthen nel 1947, il cardinale Gerhard Ludwig Müller è prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Teologo, nel 1977 conseguì il dottorato in teologia sotto la guida di Karl Lehmann con una tesi su Dietrich Bonhoeffer. donne chiesa mondo quella di Lisieux. Ma ho studiato partico- larmente Ildegarda di Bingen, alla quale ho dedicato tre saggi. Mi ha interessato soprattutto la sua teologia per immagini, una teologia che rivaluta i simboli e il loro potere come via di comprensione di realtà complesse. L’idea di arrivare a decifrare i misteri della teologia attraverso le immagi- ni, quindi rivalutando la funzione dell’in- tuizione, equilibra la teologia razionale di Tommaso e della prima Scolastica. Sulla scia di Ildegarda, mi ha molto affascinato la mistica medievale femminile, dall’idea della Chiesa di Caterina alle visioni di Brigida di Svezia. Ma poi, certo, sono sta- to anche molto colpito da Edith Stein, dalla sua biografia oltre che dalle sue ope- re, scritte in un bellissimo tedesco. Gran- de importanza per me, come per tutti i credenti tedeschi, ha avuto Elisabetta di Turingia, contemporanea di san Francesco d’Assisi, che segue la sua stessa via di to- tale donazione ai poveri. Lei stessa, pur governando dopo la morte del marito, di- venta povera e si occupa intensamente di miserabili e lebbrosi. È un grande esempio «Maschio e femmina li creò» ( Genesi 1, 27). Compreso, criticato, strumentalizzato, letto e riletto: questo il meraviglioso inno alla differenza di cui nessuno è riuscito davvero a svelare il mistero. Cosa significa essere donne ed essere uomini? Qualcuno ultimamente la contesta, eppure la differenza tra i sessi è una realtà, vigile sul passato e spalancata sul futuro. Così reale, eppure così indefinibile. Nel 1963, a Oriana Fallaci che lo intervistava, il torero spagnolo Antonio Ordóñez rispose: «Io non capisco certe differenze. I tori sono tutti tori e gli uomini sono tutti uomini. Voglio dire che l’unica differenza tra noi due che non siamo tori è che lei è una donna e io un uomo». È vero che nei secoli la differenza ha significato prevaricazione, violenza e gerarchia, ma non è certo negandola che eliminiamo la misoginia, e tutte le sue subdole declinazioni. La differenza, ne siamo certe, va ancora indagata. Ridurla a quello che la società, nei secoli, ha teorizzato, è sbagliato e fuorviante. Il 5 ottobre 1941, in una pagina del suo diario scritto nella Praga occupata dai nazisti, una bimba ebrea annotava: «A casa, intanto, papà cucina. Suona forse un po’ strano, ma lo fanno quasi tutti gli ebrei. Cos’altro dovrebbero fare altrimenti tutto il giorno? In fondo sono ormai tre anni che hanno perso il lavoro. È incredibile i progressi che tre anni di pratica consentono di raggiungere. Prima papà non sapeva prepararsi neanche un tè, invece adesso fa già i dolci da solo e prepara il pranzo dall’inizio alla fine. Con il papà di Eva fanno a chi finisce prima le faccende e vanno a controllarsi a vicenda per vedere a chi splende più il parquet, chi ha i fornelli o i piatti più brillanti». Ma se la differenza tra le donne e gli uomini, come ci spiega Helga Weiss, non risiede nella contrapposizione tra òikos e agorà , dove sta allora? Proprio per cercare di svelare qualcosa in più sulle connotazioni di questo binomio tra pari, abbiamo scelto — noi di «donne chiesa mondo» — di riflettere sui maschi dando loro la parola. Dal Papa al giornalista, dal cardinale al priore: raccontandosi e raccontandoli attraverso le loro voci e le loro azioni. Perché — come in ogni ambito della vita e della storia — l’incontro e lo scambio hanno senso solo se parlando ci si mette, almeno un po’, nei panni dell’altro. ( g.g. ) Clotilde Devillers, «La Miséricorde» (2005, particolare) Lucio Massari, «Sacra Famiglia» (1620, particolare)

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