donne chiesa mondo - n. 21 - marzo 2014

L’OSSERVATORE ROMANO marzo 2014 numero 21 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo Donne e arte Incontro con l’alterità L’arte ha origine da un incontro con qualcosa di più grande e forte di noi. Che lo si chiami destino, o ispirazione. Tutte le protagoniste di questo numero dedicato a donne e arte si sono incontrate con questa alterità, che ha determinato la loro vita. Questo incontro ha suggerito loro come diventare agenti di trasmissione della bellezza per gli esseri umani sfavoriti, con il fine di alleviare la loro condizione di sofferenti, o ha ispirato la creazione di opere che — quasi misteriosamente e loro malgrado — rivelano poi la loro natura sacra. Oppure può nascere da questo consapevole incontro una vera e propria creazione architettonica e artistica finalizzata a costruire la casa di Dio, coscientemente pensata in modo da rendere la sua presenza più percepibile agli esseri umani che ne varcheranno la soglia. Anche il modo in cui comprendiamo le opere d’arte ha una storia, che può venire attraversata da improvvise rivelazioni: come quella che suggerisce una rilettura della famosissima Pietà di Michelangelo, che si trova a San Pietro, in senso simbolico-femminile. L’arte quindi è una delle vie che le donne percorrono per parlare di Dio e con Dio, una delle vie che sempre più le vede protagoniste, così importanti che non si possono dimenticare o emarginare, come si è fatto per troppo tempo. È una prova che le donne fanno parte — proprio come gli uomini — della storia d’amore di Dio verso il suo creato. Come ricorda Barbara Hallensleben nella bella riflessione teologica che pubblichiamo questo mese, «la differenza tra uomo e donna ha a che fare con l’immagine che Dio ci rivela di se stesso», e quindi ogni approfondimento di questa differenza porta sulle tracce del mistero di Dio. Proprio per questo una riflessione sul ruolo della donna nell’arte — in particolare in un’arte che si apre consapevolmente alla spiritualità — costituisce un nuovo passo nella scoperta di come questa differenza diventi spirito di creazione e di rappresentazione della realtà umana e del suo rapporto con il divino. In questo caso — come in molti altri — non si parla di aprire nuovi ruoli alle donne, ma solo di vedere e riconoscere il lungo cammino che hanno percorso. ( l.s. ) Nascosta sotto il pianoforte A colloquio con Elisabeth Sombart di S YLVIE B ARNAY «Lo stupore mi assaliva quando da picco- la, nascosta sotto il pianoforte, ascoltavo la musica. Avevo l’impressione di essere io stessa la musica», afferma Elisabeth Som- bart parlando di com’è nata la sua voca- zione. «Non si diventa musicisti, si nasce musicisti»: la pianista di fama internazio- nale ricorda così l’arte della musica con termini simili a quelli dei grandi artisti per i quali «l’emozione non dice “io”», come sottolinea Gilles Deleuze. Tra gli incontri determinanti della vita di Elisabeth Som- bart, quello con il direttore d’orchestra Sergiù Celibidache: Elisabeth si forma per circa dieci anni alla fenomenologia della musica che quest’ultimo insegna all’uni- versità di Magonza. Quell’insegnamento le apre la via di un’esplorazione nuova della musica vissuta «come l’immagine mobile dell’eternità immobile». Lo svilup- pa e crea la Pédagogie Résonnance, co- struita sul principio di base della riduzio- ne della molteplicità dei fenomeni sonori all’unità. La pianista prosegue parallela- mente una carriera internazionale in pre- stigiose sale da concerto: Théatre des Champs-Elysée a Parigi, Carnegie Hall a New York, Wignore Hall a Londra, Con- certgebouw ad Amsterdam, Suntory Hall a Tokyo, Victoria Hall a Ginevra. Incide inoltre un’importante discografia da Bach a Bartok. Nel 1990 crea in Svizzera la Fondazione Résonnance, diffusasi poi in altri sei Paesi, al fine di portare la musica nei luoghi di solidarietà. Per Elisabeth Sombart, la musica è gioia, respiro, comu- nione, che trascende ogni sapere, ogni cul- tura e ogni appartenenza sociale e reli- giosa. Lo scrittore Christian Bobin ha detto ascol- tandola: «A illuminarmi è il suo modo di pulire ogni nota con un piccolo pennello di si- lenzio». Qual è l’importanza del silenzio per lei? Solo la coincidenza dei suoni e del si- lenzio permette di essere al centro della musica. Ogni nota che eseguiamo testimo- nia un silenzio primordiale. Per questo ogni interprete, prima di tutto, deve aver fatto voto di silenzio. Tra una nota e l’al- tra e in ogni nota c’è il silenzio. Tra una nota e l’altra c’è lo spazio per l’interiorità. L’artista che procede con una simile con- sapevolezza arriva ad amare questo silen- zio interiore. Va detto che tutte le opere musicali cominciano con un’espirazione. Nel corso dell’opera, la nostra respirazio- ne si adatta di frase in frase per rivelarle e collegarle tra loro. Ogni frase musicale scaturisce allora dalla continuità interiore dove l’anima dell’interprete respira. È nel silenzio, dove nasce la respirazione, che l’interprete trova il cammino del suo cuo- re, quello che conduce al mondo dell’ani- ma della musica, là dove i suoni diventa- no musica. La musica conduce dunque in un’altra di- mensione spazio-tempo? Al termine di un concerto, le persone lo dicono magnificamente: «Ero in paradi- so!». Questo trasporto è anche un’eleva- zione. San Girolamo spiega che i musicisti sono sulla terra per colmare il vuoto che gli angeli hanno lasciato in cielo partendo con Lucifero. Quando suona, il musicista in effetti entra in un’altra dimensione tem- porale, e con lui quanti lo ascoltano. Il tempo musicale non è il tempo della cro- nologia o quello degli orologi. È il tempo fuori dal tempo, un tempo che s’iscrive negli intervalli tra i suoni, dove il passato e il futuro si compenetrano nell’istante. Il verbo greco «katechein» – alla lettera far risuonare, da cui deriva la parola catechismo (insegnare, trasmettere) — è all’origine della fondazione che lei ha creato? La Fondazione Résonnance ha una du- plice vocazione. Ha come fine, da una parte, di creare e di gestire le scuole di pianoforte Résonnance, i cui principi fon- datori sono: gratuità, assenza di esami e di competizione, insegnamento della Péda- gogie Résonnance, senza limiti di età. Dall’altra, di offrire concerti negli ospeda- li, nelle case di riposo, nelle strutture me- dico-sociali, negli istituti per disabili, nei penitenziari e così via. Come reagisce questo pubblico? Un detenuto è venuto a trovarmi in la- crime al termine di un concerto che ho dato nel carcere Regina Coeli di Roma. Non aveva mai ascoltato la musica classica e mi ha detto: «Sono evaso dall’alto, nel profondo del mio cuore». Nelle lettere scritte dal campo di Westerbork nel 1942-1943, Etty Hillesum diceva della scrittura che «vorrebbe essere un balsamo versato su così tante piaghe». Anche lei parla di una forma di apostolato della consolazione attraverso la musica. C’è un legame con il Vangelo? Le azioni della fondazione si riallaccia- no al messaggio del Vangelo di san Mat- teo: «Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi ave- te vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovar- mi» ( Matteo, 25, 35-36). Nutrire gli altri in questo modo è diventato un dovere per me. In fondo, lei è anche molto vicina alla visione neoplatonica del pensiero medievale che conce- piva l’infinitamente piccolo come il calco dell’infinitamente grande? Secondo questo principio, ogni forma creata potrebbe essere ricondotta all’unità perfetta poiché è un modello dell’origina- le. Tutta la pedagogia che cerco di mettere in atto si fonda su questa relazione tra ciò che costituisce il mondo visibile e un altro che si può definire l’invisibile, e che Beethoven chiamava il «mondo della mu- sica». Opta per uno spossessamento dell’artista? Si tratta di dimenticare se stessi per ser- vire la musica, piuttosto che utilizzare la musica per servire se stessi: questa è la condizione sine qua non affinché i suoni che comunicano diventino suoni creatori di comunione. La musica allora si esprime da sola, sulla punta delle dita, in un pre- sente dove tutte le paure segrete sono su- perate. Allora emoziona quanti la ascolta- no, creando con loro un solo cuore. Le mani dell’interprete fanno di lui un tra- ghettatore di grazia. Egli raggiunge il toc- co spirituale, in un gesto epifanico in cui le sue mani offerte rivelano l’anima della musica. La bellezza è ciò che appare quando si perde di vista se stessi, quando si va oltre se stessi. Allora la musica è dono? C’è una forma di gratuità nell’arte. La musica non può che donarsi, il che pre- suppone che non sia sorretta da valori commerciali. Ebbene, oggi la società con- sumistica tende sempre più ad associare la musica a un commercio. Il musicista pro- fessionista viene pertanto messo a dura prova: competizione, legge del mercato, redditività dei concerti, incisioni e così via. Al contrario penso che la musica debba restare un’offerta, non un ingranaggio. Senza giocare con le parole, è questo il motivo per cui la Pédagogie Résonnance non attri- buisce premi? La musica ci insegna che l’unica ricom- pensa è quella interiore, che i suoni diven- tano musica qui e ora. Quindi come para- gonare un giovane musicista a un altro? Perché metterli in competizione? Non si- gnificherebbe eliminarne uno? Nelle scuo- le Résonnance, come nelle nostre master class, quando un allievo esegue con natu- ralezza i suoi brani, lo portiamo a suonare in uno dei nostri luoghi di solidarietà. È questa per lui la ricompensa più bella. Per concludere, cosa augura a quanti l’ascol- tano? Di trasfigurare insieme il nostro ascolto affinché traspaia la luce che illumina la vetrata della nostra anima, che non può che rischiararsi da sola, perché la nostra vita sia una creazione continua di grazia e di bellezza nel cuore di ognuno. È questa la sfida. «Sono evaso dall’alto, nel profondo del mio cuore» mi ha detto in lacrime un detenuto di Regina Coeli al termine di un mio concerto «Perché ho avuto sete e mi avete dato da bere nudo e mi avete vestito» si legge nel Vangelo Nutrire gli altri con la musica è diventato per me un dovere Nata a Strasburgo, Elisabeth Sombart inizia presto a studiare pianoforte: a dieci anni vince il Premio di Pianoforte nel concorso Bach- Albert-Lévêque. Lasciata la Francia, si perfeziona con Bruno Leonardo Gelber (Buenos Aires), Peter Feuchtwanger (Londra), Hilde Langer-Rühl (Vienna). Determinante sarà quindi l’incontro il direttore d’orchestra Sergiù Celibidache. Nel 1990 crea in Svizzera la Fondazione Résonnance, diffusasi poi in Italia, Spagna, Romania, Francia, Libano e Belgio, che organizza circa 500 concerti all’anno. donne chiesa mondo Madre e figlia a Mogadiscio (LaPresse/Ap) Isabella Ducrot, «Bende sacre 5» (2011, tecnica mista su tessili tibetani)

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