donne chiesa mondo - n. 20 - febbraio 2014
L’OSSERVATORE ROMANO febbraio 2014 numero 20 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo Donne e denaro Donne e denaro è il tema di questo numero. Binomio antico nella difficoltà quotidiana delle donne povere di far quadrare i bilanci familiari, binomio che, al contempo, incarna storicamente l’impotenza femminile. Per secoli, infatti, alle benestanti fu proibito amministrare il proprio patrimonio senza l’intervento dell’uomo di riferimento, marito o padre che fosse. Ma in questo panorama negli ultimi secoli in occidente ha trovato spazio un’altra figura, a riprova della concreta capacità femminile di saper trasformare il denaro in occasioni di crescita e di vita, una figura che è emersa proprio nella storia della Chiesa. È qui, infatti, che nell’Ottocento si riscontra il fiorire di notevoli capacità imprenditoriali femminili. Tentativi riusciti grazie alla tenacia di donne costrette a confrontarsi con uomini nient’affatto ben disposti. Ci riferiamo alle tante fondatrici di congregazioni di vita attiva che, intraprendendo un fecondo percorso di cristianizzazione della società proprio nel momento in cui essa si stava secolarizzando, si rivelarono capaci di creare un’imponente rete di opere assistenziali (scuole, ospedali, orfanotrofi, strutture di assistenza a poveri ed emarginati) dimostrando eccezionali capacità nel cogliere i bisogni e individuarne le soluzioni. E nel farlo con autonomia e creatività, confrontandosi con i nuovi equilibri sociali, le fondatrici furono le prime donne ad amministrare da sole e con successo somme ragguardevoli di denaro. Le nuove fondazioni furono dunque tali anche, se non soprattutto, per il loro assetto economico. Mentre le istituzioni femminili precedenti nascevano e resistevano nel tempo solo laddove fossero garantite da una sicurezza economica alle origini, le nuove congregazioni rovesciano la regola: nascono con un capitale iniziale minimo, a volte addirittura nullo. Le suore non portano quasi mai una dote al momento della professione, ma è con il loro lavoro che contribuiscono a garantire il sostentamento della congregazione, conquistandosi così la stima della comunità. Una lezione che va ricordata: le fondatrici furono infatti costrette non solo a procurarsi i fondi per sostenersi, ma soprattutto a gestirli in modo dinamico e produttivo, impegnandosi in autentiche attività imprenditoriali, senza accontentarsi dei primi risultati ma ampliando continuamente le iniziative, anche a costo di indebitarsi considerevolmente. Molto spesso ignorata o messa a tacere, è però indubbio che l’emancipazione femminile e della Chiesa sia passata anche da qui. E da qui può e deve ripartire, come dimostrano i contributi di questo numero. ( g.g. ) Vigilo sugli affari economici dei vescovi francesi A colloquio con Corinne Boilley, prima vice-segretario generale della Conferenza episcopale d’Oltralpe di M ARIE -L UCILE K UBACKI Laureata alla Sciences Po Paris ed esperta di risorse umane, questa donna radiosa, madre di tre figli, all’età di 57 anni è dal 2012 la prima donna vice-segretario gene- rale della Conferenza dei vescovi di Fran- cia (Cef), dove è responsabile degli affari economici, giuridici e sociali. Il suo lavoro consiste, tra le altre cose, nell’ascoltare, ac- compagnare e sostenere le diocesi nello sviluppo delle loro risorse finanziarie e nell’attuazione di politiche di risorse uma- ne adeguate e giuste. Qual è stata la sua reazione quando ha ap- preso della sua nomina a vice-segretario? Ho provato stupore e mi sono chiesta: perché proprio io? I miei due predecessori avevano un profilo soprattutto finanziario, per cui non mi sarei mai immaginata di ri- trovarmi in questo posto. Allora ho ascol- tato ciò che sentivo risuonare dentro di me. Ho accettato perché mi riconoscevo nelle dimensioni della missione e nel mo- do di svolgerla, con un ascolto attento dei bisogni delle diocesi e un lavoro collabo- rativo e costruttivo tra di loro. Lei è la prima donna vice-segretario generale: lo vive come un motivo di orgoglio o come una pressione? È stato quando gli altri hanno iniziato a manifestare la loro sorpresa, sincera, che ho provato una leggera preoccupazione: «ma tu sei la prima donna!» mi dicevano. All’inizio queste reazioni di stupore mi turbavano perché mi davano l’impressione che la sorte di metà dell’umanità gravasse su di me. L’essere guardata come la prima donna comportava per me un’enorme pressione. Poi mi ci sono abituata e ora ne sono felice. Non dà un po’ fastidio il fatto che non appe- na una donna accede a un posto di grande responsabilità come il suo tutti s’interroghino? Un po’. Io sono una professionista. Ho lavorato per anni nel campo delle risorse umane. Visto che fin da giovanissima ho avuto responsabilità importanti, non ho mai avuto l’impressione che mi venissero affidate perché ero una donna. Voglio cre- dere che sia stato l’insieme della mia per- sonalità e delle mie competenze a motiva- re la mia nomina, e non la voglia di sce- gliere espressamente una donna per que- sto posto. E nella mia persona ci sono di- mensioni di femminilità, di maternità. È un tutt’uno, non lavoro nel campo delle risorse umane per caso. C’è in qualche modo l’aspetto dell’ascolto, del prendersi cura degli altri, dell’attenzione verso gli altri. Ma questa nomina è comunque un segnale forte! Ovviamente è un segno di modernità, di una Chiesa ancorata al suo tempo. Prendo la mia nomina in quanto donna, laica e professionista delle risorse umane come un incoraggiamento. Se non ci fosse stato questo incoraggiamento dell’istitu- zione, non mi sarei mai permessa di pen- sare a una simile missione. Non milito a favore dell’ordinazione delle donne e non mi riconosco nel movimento femminista, ma sono invece convinta che siano neces- sari una parola e dei gesti da parte dell’istituzione ecclesiale a favore di un maggiore riconoscimento delle azioni svol- te dai laici. Ci vorrebbero più donne nei posti decisionali e se sì, in quali posti in particolare? Non si può fare a meno della metà dell’umanità! Sì, bisogna fare in modo che ci siano più donne nei posti di responsabi- lità. Nella Cef sono molte le donne che dirigono servizi: Nathalie Becquart, suora saveriana diplomata all’Hec, un grande istituto commerciale, è a capo del servizio giovani e vocazioni, e Monique Baujard, avvocato esperto di questioni etiche, diri- ge il servizio famiglia e società, di cui io stessa sono vice-segretario generale. L’isti- tuzione, al più alto livello, ha mandato dei segnali. I vescovi nelle loro diocesi e i par- roci nelle loro parrocchie sono e devono essere anch’essi promotori di tutto ciò. Nel panorama dei laici impegnati in mis- sione ecclesiale nelle diocesi ci sono mol- tissime donne, ma non in tutti i campi. Ci sono pochissime econome diocesane, an- cora troppe poche donne nei consigli dio- cesani. Come spiega Papa Francesco nella sua recente esortazione apostolica: «In vir- tù del battesimo ricevuto, ogni membro del popolo di Dio è diventato discepolo missionario». E più specificamente, ri- guardo alle donne nella Chiesa, dice: «C’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa (...) e nei diversi luoghi dove ven- gono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali». I suoi interlocutori sono in maggior parte sa- cerdoti e vescovi: come l’accolgono in quanto donna laica in un posto di grande responsa- bilità? La fiducia non si decreta, si tesse: que- sto riassume tutto. Quando sono arrivata, ho provato, come loro, una certa reticen- za. Forse da parte loro perché ero una donna. Ma da parte mia perché erano dei sacerdoti. Prima del mio arrivo nella Cef nel 2007, i sacerdoti che frequentavo erano quelli che celebravano, mi confessavano o accompagnavano i miei momenti di ritiro. Nel 2012 il mio rapporto di lavoro è cam- biato, con un contatto più diretto con i vescovi. Poco a poco la fiducia è aumen- tata; questa passa per una conoscenza mi- gliore, una maggiore comprensione delle realtà condivise e per un profondo rispet- to. Nella prima assemblea plenaria a Lourdes, ero molto turbata, tutti i vescovi di Francia erano di fronte a me ed esitava- no a pormi domande. L’anno seguente, l’assemblea è stata di tutt’altra natura, per- ché nel frattempo avevo incontrato alcuni vescovi nelle loro diocesi e avevo lavorato con loro. Lei lavora nel campo delle risorse umane: co- me donna sente di avere una missione parti- colare rispetto alle altre donne? Qui, alla Cef, non ci sono poste in gio- co di questo tipo. Come ho già detto, all’interno dei vari servizi, accanto ai sa- cerdoti, ci sono donne con ruoli di re- sponsabilità. Il che non mi impedisce di esprimere il mio stupore ai vescovi per il fatto che ci sono così poche donne econome! È necessario che nelle diocesi e nelle parroc- chie i vescovi e i parroci incoraggino le donne a mettersi in moto. È anche necessario che le donne siano determinate perché la determinazio- ne suscita la fiducia. Dal 2008-2009, con l’attuazione di convenzioni collettive nelle diocesi, i vescovi stanno rivolgendo un’at- tenzione particolare alla gestione dei di- pendenti. Di fatto, i laici in missione ec- clesiale vengono più seguiti e si sta comin- ciando ad affrontare più facilmente la que- stione delle donne. Per esempio, come si può incoraggiare un vescovo a inserire delle donne nel suo consiglio per gli affari economici? La risposta è: dicendo chiara- mente di cosa si ha bisogno. Non si tratta di parlare delle donne tanto per parlarne, ma di trovare le persone giuste con le giu- ste competenze per il posto giusto. Tra queste ci sono necessariamente delle don- ne. Lo sviluppo della cultura delle risorse umane gioca a loro favore. Allora quali consigli darebbe alle giovani donne di oggi perché si possano affermare nella loro vita professionale senza però per- dervisi? Io sono sensibile all’approccio ignazia- no e non posso che incoraggiare le giova- ni donne a riflettere, il più presto e il più regolarmente possibile, sul loro progetto, sul loro obiettivo. In quale ambito potrò dare meglio il mio contributo al mondo? Sono convinta che occorra restare liberi nelle proprie scelte ma per questo a volte bisogna discernere, osare, correre il rischio di rifiutare certi compromessi. Quando so- no stata nominata direttore delle risorse umane di una grande azienda francese ero giovane — avevo trentadue anni — e avevo due bambini piccoli. Perciò ho deciso di proporre un part-time per il mio lavoro, a rischio di non avere il posto. Ho sempre accettato le responsabilità senza sacrificare l’equilibrio nella mia vita personale. In se- guito, ho lasciato l’azienda per il consi- glio, così da poter passare più tempo con i miei figli. Penso che sia necessario colti- vare il proprio orto. Per costruire, bisogna avere ben chiari i propri obiettivi e le pro- prie priorità. Il suo lavoro consiste anche nell’ascoltare accompagnare e sostenere le diocesi a sviluppare le opportunità finanziarie e ad attuare giuste politiche di risorse umane È necessario che nelle diocesi i presuli incoraggino le donne a mettersi in moto E che queste siano determinate perché la determinazione suscita fiducia Dopo la laurea all’Istituto di Scienze Politiche di Parigi e il master in diritto privato, Corinne Boilley (1956) è chargée de mission (consulente) nel servizio di informazione e diffusione del primo ministro francese, per il biennio 1981-1982. Direttore delle Risorse Umane e della comunicazione interna Europa del gruppo di ristorazione Quick, dal 2007 è direttore delle risorse umane della Conferenza dei vescovi di Francia. Il 1 settembre 2012 è stata nominata vice-segretario generale della Cef, con l’incarico di seguire le questioni economiche, giuridiche e sociali. donne chiesa mondo Vicino a Kabul (LaPresse/Ap, 2013)
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