donne chiesa mondo - n. 16 - ottobre 2013

L’OSSERVATORE ROMANO ottobre 2013 numero 16 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo Cuoca e teologa L’intervista a suor Rita Mboshu Kongo, che apre questo numero, ci pone di fronte a una questione che sta al centro del rapporto fra le donne e la Chiesa: quella del servizio delle religiose ai sacerdoti, e al tempo stesso quella del riconoscimento delle loro capacità in ambiti non solo domestici e subordinati. Questa giovane congolese ha scelto di vivere la sua esperienza religiosa in una congregazione che offre la propria vita alla missione ministeriale del sacerdote attraverso preghiere e assistenza domestica. Ma, al tempo stesso, grazie al suo impegno e alla sua intelligenza, non solo si è laureata ma ha conseguito un dottorato in teologia spirituale. Il suo livello culturale quindi non è certo inferiore a quello dei sacerdoti ai quali assicura il servizio, i docenti e i convittori del collegio Capranica, con un’unica differenza: lei ha cucinato per giovani seminaristi e sacerdoti che stavano percorrendo una via di studio simile alla sua, ma che avevano tutto il loro tempo a disposizione per lo studio. È da considerarsi uno spreco che una donna così continui a servire i giovani del Capranica? Forse secondo una superficiale idea di emancipazione femminile. Rita ci insegna che il carisma del suo istituto è più profondo, e che lei lo ha ulteriormente ampliato aggiungendo un’altra dimensione all’assistenza, quella paritaria del «confronto e sostegno reciproco», realizzando con i giovani sacerdoti e seminaristi un legame di aiuto e rispetto vicendevoli. Senza dubbio, la sua presenza presso di loro è testimonianza alta di amore e di umiltà, da rispettare e apprezzare proprio in quanto scelta liberamente come via spirituale. Sarebbe invece diverso se fosse stata costretta a questo ruolo da una Chiesa che non volesse riconoscere le sue qualità. Le parole di suor Rita, come quelle di tante altre donne a cui diamo la parola sul nostro giornale, «stanno ponendo domande profonde che vanno affrontate», come ha detto Papa Francesco. ( l.s. ) La vocazione di conciliare studio e fornelli A colloquio con suor Rita, cuoca al collegio Capranica e dottore di ricerca in teologia di G ILBERT T SOGLI Fondato nel 1457 dal cardinale Domenico Capranica per favorire la formazione al presbiterato di giovani poveri, l’Almo Col- legio Capranica è il più antico seminario. Oggi vi si trovano giovani di diverse na- zionalità: alcuni si preparano al sacerdo- zio, altri, già sacerdoti, proseguono gli studi di specializzazione. Sin dal 1978 il servizio cucina del collegio è gestito dalle Figlie di Maria Santissima Corredentrice, tra cui suor Rita, nata in Congo. Com’è nata la sua vocazione? La storia della mia vocazione inizia mentre ero in collegio: ma anche se in me c’era l’inclinazione verso la vita consacra- ta, non avevo le idee chiare. Fondamenta- le nel mio cammino di discernimento è stato un sacerdote del mio villaggio che conoscevo fin da piccola. Egli fu mandato a studiare a Roma, al Capranica. È lui che mi ha aiutata a capire ciò che il Signore voleva da me, facendomi prima conoscere le Figlie di Maria Santissima Corredentri- ce e poi mettendomi in contatto con loro, così da poter venire in Italia a fare l’espe- rienza religiosa. Lui conosceva bene tutti i condizionamenti che subivo da parte del mio clan, che aveva un altro progetto su di me. Cosa voleva la sua famiglia da lei? Nella tribù Kete, tribù di tipo matriar- cale, la donna è considerata il pilastro del clan. Quindi toccava a me, in quanto pri- mogenita, essere formata per diventare ca- po-clan, il giorno in cui fosse venuta a mancare la nonna materna. Sentivo forte questa responsabilità, il che rendeva diffi- cile la mia scelta verso la vita religiosa. Se mentre stavo in collegio sentivo forte l’in- clinazione verso la vita consacrata, mi ba- stava rientrare in famiglia perché svanisse- ro tutte le mie certezze. Del resto, in ge- nere, in Africa le ragazze vengono educate a formare una famiglia. Ecco perché era necessario che mi allontanassi da que- st’ambiente per cercare di capire davvero ciò che sentivo nel profondo. Quando ha lasciato il Congo? Presa la decisione di iniziare l’esperien- za con le Figlie di Maria Santissima e quando era ormai tutto pronto per la par- tenza verso l’Italia, informai la mia fami- glia. Non la presero bene. Sono andata via con tristezza ma anche con un po’ di trepidazione perché non sapevo bene cosa mi aspettasse in Italia. Tuttavia, ero deter- minata. Era il 1996. Qual è la sua congregazione? Il fondatore è padre Vittorio Dante For- no, nato a Porto Alegre (Brasile) il 2 giu- gno 1916 da genitori siciliani. Il 9 giugno 1940 ricevette l’ordinazione sacerdotale, scegliendo come motto Vivas in me, vivam in te . Il carisma delle Figlie di Maria San- tissima Corredentrice, quindi, consiste nell’immolazione di sé in un silenzioso martirio quotidiano, perché tutta la loro vita — e cioè la preghiera, i sentimenti, i pensieri e le azioni — è offerta a Dio come sacrificio di adorazione, riparazione, re- denzione e santificazione, affinché privile- gi con la sua grazia i sacerdoti, per ren- derli sempre più suoi efficaci ministri. Il fine specifico della congregazione è, infat- ti, quello di formare persone che offrano la propria vita a Dio perché la missione ministeriale del sacerdote produca la piena disponibilità all’accoglienza della grazia nel cuore degli uomini. Le Figlie di Maria esprimono la loro spiritualità attraverso un’intensa vita di preghiera a carattere contemplativo e oblativo. Come si esplicita oggi questo carisma e come lo vive nell’Almo Collegio Capranica? Viviamo il nostro carisma svolgendo l’apostolato in vari campi. Diamo assisten- za ai poveri, ai ragazzi in difficoltà, soste- niamo progetti di sviluppo in Congo, ge- stiamo il servizio della cucina del collegio dall’ottobre del 1978, quando arrivammo qui su interessamento di monsignor Gual- drini, che era allora rettore del collegio. Al Capranica, mentre prestavo il mio servizio in cucina, ho proseguito i miei studi otte- nendo il dottorato in teologia spirituale. Lei ha dunque fatto gli studi fino al dotto- rato? Dopo aver ottenuto il baccalaureato in teologia, la superiora generale madre Sale- mi, mi ha chiesto prima di proseguire con la licenza in spiritualità al Teresianum e poi il dottorato sempre presso lo stesso istituto. Mi è stato espressamente chiesto di approfondire la spiritualità e il carisma della nostra congregazione: il titolo della mia tesi è stato Prospettiva per una forma- zione inculturata nella Congregazione delle Figlie di Maria Santissima Corredentrice in Congo . Ho scelto questo tema anche per- ché l’intento di madre Salemi era di ri- mandarmi in Congo per iniziare lì il no- stro apostolato e formare altre ragazze de- siderose di farsi suore nel nostro istituto. Cosa lei dice in sintesi nel suo lavoro? Ritengo che la formazione debba inizia- re dalla conoscenza dell’aspirante. Questa conoscenza necessita un contatto con i luoghi di provenienza, con le famiglie d’origine: è fondamentale conoscere le persone prima di introdurre contenuti spi- rituali. Insisto sulla conoscenza dell’aspi- rante perché nello specifico del Congo è importante sapere che la ragazza è prepa- rata dalla sua famiglia a diventare sposa e madre, che la sua ricchezza sono, prima di tutto, il marito e i figli. Partendo da ciò, occorre dunque spiegarle che con la con- sacrazione religiosa, ella rimane donna ma consacrata totalmente a Dio. Le sue fun- zioni di moglie e madre vengono esplicita- te in una maternità e sponsalità spirituali. Bisogna presentare all’aspirante i consigli evangelici come capacità di amare, di do- nare, di donarsi; come l’of- ferta di tutte le proprie ca- pacità affinché, libera da ogni altro legame, ella pos- sa amare il Signore come uno sposo. Possa amare coloro che il Signore ama. Così, la futura suora vivrà la sua femminilità dando tutta se stessa agli altri secondo la mistica africana fondata sul valore della fecondità. Come ha potuto conciliare il suo servizio in cucina e la stesura della tesi? Non è stato facile, ma il Signore è gran- de e ascolta il grido di chi lo chiama nei momenti difficili della vita. È stato diffici- le, ma con la grazia di Dio, la mia deter- minazione, molto sacrificio, l’incoraggia- mento dei superiori (cominciando dal ret- tore, monsignor Manicardi), degli alunni del collegio e delle mie consorelle, ho por- tato avanti il mio duplice lavoro di cuoca e di studente. Certamente l’educazione e la formazione ricevute all’interno del mio clan sono state decisive. Del resto, ho rice- vuto la nomina ad andare nella nostra co- munità che presta servizio al Capranica quando ero già al quarto capitolo della mia tesi: mi mancava solo il quinto! Ep- pure, dopo i primi momenti d’incertezza nel mio nuovo apostolato, ho continuato a lavorare a passo di tartaruga alla stesura della tesi. Non mi sono arresa alle inevita- bili difficoltà perché penso di avere un ca- rattere di ferro. Durante la stesura della tesi, quale era il suo rapporto con gli alunni del Capranica? Per quanto riguarda il mio rapporto con i dottorandi, posso soltanto dire che era di confronto e di sostegno reciproco. Ricor- do ancora con commozione la festa per la discussione della mia tesi fatta insieme alle mie consorelle e ai capranicensi nel refet- torio del collegio. Come vive da dottore di ricerca il suo impe- gno in cucina? Conseguire il titolo di dottore in teolo- gia non mi toglie la mia fondamentale vo- cazione, che è quella di essere Figlia di Maria Santissima Corredentrice. Vivo dunque il mio impegno da cuoca nello spirito del nostro carisma. La cosa più im- portante per me, infatti, è di essere suora nel nostro istituto a servizio della Chiesa dove serve e dove mi mandano i miei su- periori. Il mio aiuto in cucina mi rallegra nella misura in cui collaboro, per quanto possibile, a far sì che gli alunni vivano pienamente il loro ministero. Cerco però anche di aggiornarmi culturalmente, sia partecipando a degli incontri sia dialogan- do con alunni che si preparano alla licen- za e al dottorato. Cosa pensa del suo percorso di ragazza afri- cana venuta in Italia per formarsi alla vita religiosa? Ritengo che non sia affatto facile lascia- re l’Africa e venire a iniziare la formazione qui. Penso sia meglio che le ragazze ven- gano inizialmente formate nella loro terra d’origine perché hanno storie che devono essere conosciute e capite nel loro conte- sto. Non solo: è anche necessario che la formazione dell’aspirante suora coinvolga anche i familiari. E i formatori debbono conoscerli, per poterli aiutare a capire la scelta di vita che la loro figlia si appresta a fare. A me è andata bene, come anche ad altre ragazze formate direttamente in Italia, ma sono del parere che sia auspica- bile che almeno la formazione iniziale av- venga nel proprio ambiente d’origine. Dopo i primi momenti di incertezza nel nuovo apostolato ho continuato a scrivere a passo di tartaruga Non mi sono mai arresa alle difficoltà Le ragazze vanno formate nella loro terra perché hanno un bagaglio personale importante Hanno storie che devono essere conosciute e capite nel loro contesto di origine Nata nel 1966 a Luebo (oggi nella Repubblica Democratica del Congo), suor Rita Mboshu Kongo, dopo aver conseguito nel 1987 il diploma di Stato in pedagogia generale, si è iscritta a medicina presso l’università di Kinshasa. Per rispondere alla chiamata del Signore, la giovane congolese lascia il suo Paese e arriva in Italia presso le Figlie di Maria Santissima Corredentrice. Nel 1998 inizia il noviziato. Consegue, nel 2005, la licenza in teologia spirituale e poi, nel 2011, il dottorato presso il Pontificio Istituto di Spiritualità Teresianum di Roma. donne chiesa mondo Alcune suore salutano Papa Francesco in transito sulla papamobile mentre lascia Aparecida, lo scorso 24 luglio (foto AP) Isabella Ducrot, «Il volto della madre» (2013)

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