donne chiesa mondo - n. 11 - aprile 2013

L’OSSERVATORE ROMANO aprile 2013 numero 11 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo In politica Le donne e la politica nella storia e nell’immaginario collettivo sono state e, in gran parte, rimangono in contrapposizione. Ai più la politica non pare cosa femminile. Ma oggi siamo a una svolta. La contrapposizione donne e politica è meno forte. Si sta allentando la divisione. Di fronte al fallimento della politica gestita esclusivamente al maschile se ne cerca un’altra, più vera, più concreta, più vicina ai bisogni della vita quotidiana. Ed ecco che nella nebbia e nella confusione emerge un femminile. È possibile definirlo, proporlo, disegnarlo compiutamente? Non proprio, ma sarebbe altrettanto sbagliato non coglierlo in Paesi diversi e con diverse culture e fedi. Sicuramente in una politica femminile sono presenti servizio, passione, fede. E anche competenza. «Con la percezione che è propria della tua femminilità — scriveva Giovanni Paolo II nella sua lettera alle donne — tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani». Sicuramente le donne non portano nella politica solo una parte di se stesse, ma tutto quel che sono. E se un tempo secondo le categorie maschili si dividevano anche in politica fra le conservatrici che mettevano al primo posto la maternità e le progressiste che facevano una battaglia per il lavoro, oggi questa divisione non c’è più. Nel costruire una politica al femminile le donne rimangono intere e della vita — la loro e quella degli altri — difendono tutto. Troppo poco per parlare di politica delle donne? Può darsi. Abbastanza per notare che una politica gestita solo al maschile non ce la fa più. Del resto in quella lettera Giovanni Paolo II lo aveva predetto. «I gravi problemi sul tappeto vedranno, nella politica del futuro, sempre maggiormente coinvolta la donna: tempo libero, qualità della vita, migrazioni, servizi sociali, eutanasia, droga, sanità e assistenza, ecologia, ecc. Per tutti questi campi, una maggiore presenza sociale della donna si rivelerà preziosa, perché contribuirà a far esplodere le contraddizioni di una società organizzata su puri criteri di efficienza e produttività e costringerà a riformulare i sistemi a tutto vantaggio dei processi di umanizzazione che delineano la “civiltà dell’amore”». ( r.a. ) Una cattolica alla guida della Polonia Intervista a Hanna Suchocka, prima e unica donna presidente del consiglio nella storia del Paese «Il nostro rappresentante deve essere Hanna perché ha avuto il coraggio di votare nel Parlamento comunista contro una legge ingiusta Sappiamo che possiamo fidarci di lei» Nata nel 1946 a Pleszew, Hanna Suchocka dal 2001 è ambasciatore polacco presso la Santa Sede. Specialista in diritto costituzionale e membro del Parlamento polacco negli anni 1980-1985 e 1989-2001, dal 11 luglio 1992 al 26 ottobre 1993 è stata primo ministro e dal 1997 al 2000 ministro della Giustizia e procuratore generale. Membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali del Club di Madrid e del Consiglio Mondiale delle Donne Leader, ha pubblicato nel 2012 un libro dedicato alle antiche chiese stazionali di Roma. donne chiesa mondo di D OROTA S WAT «Nella mia famiglia le donne sono sempre state attive socialmente e professionalmen- te. Mia zia, ad esempio, fu una delle pri- me donne in Polonia a laurearsi in farma- cia, e anche mia madre era farmacista. Per me il lavoro femminile extradomestico è sempre stato ovvio: piuttosto mi sembrava strano vedere le mamme delle mie amiche fare le casalinghe! Eravamo una famiglia molto cattolica: a casa si pregava regolar- mente, andavamo insieme a messa, si par- lava di religione, spiritualità e storia della Chiesa. Ricordo un vecchio libro che leg- gevo da piccola: era la storia dei papi fino a Pio XII . Poi mia madre aggiunse, a pen- na, Giovanni XXIII e Paolo VI . Giovanni Paolo II , invece, l’ho aggiunto io. Zia e nonna, attiviste dell’Azione cattolica fem- minile, ricevettero l’onorificenza Pro Eccle- sia et pontifice (rispettivamente prima e do- po la seconda guerra mondiale): non svol- gendo un’attività nell’ambito ecclesiale pensavo che, pur essendo anche io una Suchocka, non avrei mai avuto l’onore di ricevere una medaglia simile. Invece più tardi mi è stata conferita un’onorificenza anche più alta». si quindi un altro partito, piccolissimo, il Partito democratico (degli artigiani) che non aveva alla base il materialismo stori- co. Così arriviamo al 1980, prima ancora della nascita di Solidarność: il mio partito cercava a Poznań una donna, giovane giu- rista, da candidare alle elezioni politiche. Il caso ha voluto che in quel momento io avessi i requisiti adatti e così fui messa in lista. Forse era anche in un certo senso l’azione della Provvidenza. Così mi ritro- vai in Parlamento, proprio nell'anno in cui nacque Solidarność, con cui collaborai: abbiamo lavorato bene e loro si fidavano di me. L’anno seguente, dopo l’introdu- zione dello stato di emergenza, votai con- tro la messa fuori legge di Solidarność: fummo solo una decina di parlamentari a farlo. Non era facile, in un’epoca in cui si votava a comando: a quel punto, la fine della mia carriera politica era certa. Così tornai a Poznań, riprendendo il lavoro all’università. Tutto però cambiò di nuovo con la svolta del 1989, quando la Polonia si apprestava alle sue prime elezioni de- mocratiche. Divenni infatti membro del Comitato civico di Solidarność, che creò una lista per il futuro Parlamento. Tanti in quel momento fecero il mio nome: «Il no- stro rappresentante deve essere Hanna perché ha avuto il coraggio di votare nel Parlamento comunista contro una legge ingiusta. Sappiamo che possiamo fidarci di lei». In un primo momento rifiutai: non volevo entrare di nuovo in politica, l’avevo fatto per cinque anni e mi bastava. Poi però cambiai idea e il 4 giugno 1989 venni eletta. È in questo momento che so- no veramente entrata in politica, e vi sono entrata non come donna, ma come Hanna Suchocka con una sua precisa storia sulle spalle. Il comunismo ha promosso l’emancipazione delle donne? Crede nel modello imposto dallo Stato? Non penso che un modello imposto dallo Stato possa risultare vincente. L’ho anche scritto, in uno dei miei articoli: nel sistema comunista veniva promosso un ti- po di emancipazione un po’ artificiale. Si voleva cambiare il ruolo della famiglia, vi- Novecento sono stati segnati da guerre e insurrezioni continue, e così mentre gli uomini combattevano, le donne gestivano la famiglia, erano degli autentici manager! Nel caso specifico di Hanna Gronkiewicz Waltz, un ruolo importante lo hanno gio- cato i cambiamenti avvenuti dopo la cadu- ta del comunismo perché si cercavano per- sone nuove. La scelta del governatore del- la banca polacca è stata una scelta perso- nale del presidente Wałęsa: Hanna Gron- kiewicz Waltz, oggi sindaco di Varsavia, è una giurista esperta di banche e sistemi bancari. In Polonia negli ultimi mesi Chiesa e governo si sono trovati su posizioni opposte rispetto alla convenzione contro la violenza sulle donne. La firma della convenzione non rappre- senta affatto un motivo di conflitto tra Polonia e Santa Sede: è un documento in- ternazionale. Ritengo però che questa convenzione non sia la soluzione del pro- blema. Il titolo esprime un’idea giusta, an- che se nel testo ci sono due o tre frasi che suscitano perplessità: interpretarle in un modo particolare può effettivamente dare al documento un senso che ne stravolge la natura. Scrivendo testi di questo tipo si usa un linguaggio molto generico, propo- nendo però soluzioni non applicabili a tutti i casi. In Parlamento per anni ho fat- to parte della commissione legislativa do- ve si lavorava proprio sulle parole: il lin- guaggio ha un’importanza fondamentale! Perché ha lasciato la politica? Ho lasciato perché sentivo di non poter incidere sulle soluzioni e in alcuni mo- menti era impossibile trovare un compro- messo. Naturalmente il compromesso è un strumento importante quando si fa politi- ca, ma c’è un limite. Inoltre, da un certo momento in poi la vita politica è diventa- ta sempre più aggressiva e brutale. Non sono abituata a usare parole volgari, più che urlare mi piace argomentare. Anche i media hanno cambiato il loro linguaggio, nei dibattiti si grida e si litiga sempre di più. Questo non è il mio stile. Le campa- gne elettorali, poi, sono uno spettacolo in- degno: si dicono falsità, si usano argo- menti non verificabili che sembrano seri ma non lo sono. Ho passato anni in Parla- mento, e nel periodo più importante della recente storia polacca, quello tra il 1989 e il 1991, abbiamo messo a punto i modelli di sviluppo del Paese. Era veramente un lavoro difficile, ma non c’era quell’aggres- sività che oggi domina su tutto. Perciò nel 2001 non mi sono presentata alle elezioni politiche e ho accettato la proposta del ministro degli Affari esteri di diventare ambasciatore presso la Santa Sede. La missione dei rappresentanti della Santa Sede potrebbe essere svolta anche dalle donne religiose o laiche? In futuro si potrebbe immaginare un’apertura nei confronti dei laici e quindi anche delle donne. So che secondo le re- gole il nunzio apostolico deve essere un arcivescovo, ma forse si potrebbe comin- ciare dagli organismi internazionali: già il rappresentante della Santa Sede a Vienna presso le Nazioni Unite non è un arcive- scovo: si potrebbe quindi cominciare dagli osservatori. Mary Ann Glendon è stata presidente di una delegazione vaticana, anche a me fu proposto di guidarne una nel 1994, ma declinai: avevo appena lascia- to l’incarico di primo ministro e non mi sembrava opportuno diventare subito ca- po delegazione di un altro Paese (ne fui solo membro). Se una donna può essere il capo della delegazione vaticana inviata a una conferenza mondiale, una donna po- trebbe anche rappresentare la Santa Sede presso un’organizzazione internazionale. Se tradizione femminile e cattolicesimo hanno segnato il percorso di Hanna Suchocka, se n’è poi aggiunto un terzo che l’ha condotta a essere la prima — e a oggi unica — presiden- te del Consiglio dei ministri donna nella sto- ria polacca. Come avvenne il suo ingresso in politica? Cittadina all’epoca del comunismo, non avevo mai pensato di entrare in politica, sebbene fossi animata dalla passione so- ciale. Era tuttavia ovvio che non potevo entrare nel partito comunista! Mi sono laureata in legge nel 1968: in agosto vi fu l’invasione della Cecoslovacchia, mentre prima, a marzo, in Polonia vi erano state le proteste degli universitari, represse du- ramente dalla polizia. Dopo questi avveni- menti si decise di “verificare” l’adesione degli studenti all’ideologia, con un’atten- zione particolare verso quanti volevano in- traprendere la carriera universitaria. In pratica significava che bisognava iscriversi al partito comunista. Anche se c’erano molti cattolici membri del partito, a mio avviso erano due approcci incompatibili tra loro. Mentre aspettavo di entrare a la- vorare come ricercatrice all’università, scel- sta come un’istituzione del passato e senza utilità, ma le donne sono andate a la- vorare solo perché gli uo- mini non guadagnavano abbastanza. Così i bambi- ni venivano affidati alle strutture pubbliche: la vita familiare e sociale veniva organizzata dallo Stato at- traverso servizi di qualità bassissima. Se in un certo senso tutto questo era una forma di emancipazione, si trattava però di un proces- so molto ambivalente. A proposito di emancipazio- ne, Hanna Gronkiewicz Waltz, attuale sindaco di Varsavia, è stata in passato governatore della Banca Po- lacca, un ruolo ancora inedi- to per una donna. Nel nostro Paese le don- ne storicamente hanno do- vuto svolgere un ruolo im- portante. L’Ottocento e il Isabella Ducrot, «Santa Caterina» (2013)

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