donne chiesa mondo - n. 10 - marzo 2013

L’OSSERVATORE ROMANO marzo 2013 numero 10 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo Il nostro grazie al Papa Nel salutare con commozione Benedetto XVI vogliamo in primo luogo ringraziarlo. Ringraziarlo per avere accettato che «L’Osservatore Romano» venisse arricchito da un inserto mensile dedicato alle donne nella Chiesa, ringraziarlo perché ha voluto, fin dall’inizio, aprire alle donne la partecipazione al suo giornale sia come collaboratrici che come giornaliste. Il nostro mensile esiste grazie a lui. Ma sappiamo che questa apertura alle donne non è stata un atto isolato nel suo pontificato: non solo durante questi otto anni la presenza femminile in Vaticano è aumentata di numero ed è più qualificata, ma in scritti e interviste Papa Ratzinger ha sostenuto sempre la necessità di una presenza femminile riconosciuta e ascoltata nella Chiesa. Nel difendere e valorizzare la devozione mariana — il segno più alto dell’importanza del ruolo della donna al cuore della tradizione ebraica e cristiana — egli ha scritto: «Omettere la donna nell’insieme della teologia significa negare la creazione e l’elezione (la storia della salvezza) e quindi sopprimere la rivelazione». Gli siamo grate anche per la sua difesa della naturale polarità fra i sessi, in contrapposizione alle teorie del gender, pur riconoscendo «l’uguaglianza ontologica» di uomo e donna: «sono un solo genere e hanno un’unica dignità» in una interdipendenza reciproca che è presente in ciascun essere umano e lo conduce verso l’altro. Interdipendenza che, secondo Benedetto XVI , è occasione di crescita: «L’uomo è stato creato bisognoso dell’altro perché potesse andare oltre se stesso». Ma questo bisogno costituisce anche un dramma in potenza: «Insieme saranno una sola carne, un unico essere umano. In questo passo è racchiuso tutto il dramma della parzialità dei due generi, della dipendenza reciproca, dell’amore». Dipendenza reciproca che, nella differenza dei carismi, deve essere riconosciuta anche nella vita della Chiesa, rendendola più viva e dinamica, più nuova. ( l.s. ) Missionaria della teologia A colloquio con Sara Butler, membro della Commissione teologica internazionale e docente nei seminari di G IULIA G ALEOTTI «No, non lo avrei mai immaginato! Fu una totale sorpresa!». È autenticamente felice, e quasi ancora autenticamente me- ravigliata, suor Sara Butler quando ricorda la sua nomina a membro della Commis- sione teologica internazionale, ormai nove anni fa. Era il 2004: la scelta di Giovanni Paolo II di chiamare due donne nella Commissione voluta da Papa Montini nel 1969 — e poi a lungo presieduta dall’allora cardinale Ratzinger — venne quindi riba- dita nel 2009 per un altro quinquennio da Benedetto XVI (l’altra è la laica Barbara Hallensleben, che insegna teologia alla Facoltà teologica di Friburgo in Svizzera). Nata a Toledo (Ohio) nel 1938 in una fa- miglia cattolica, dopo aver studiato dalle orsoline ed essere entrata nell’ordine delle Missionary Servants of the Most Blessed Trinity nell’agosto del 1956, Sara Butler si iscrive alla Catholic University of America di Washington: «Era il 1961 e le donne non erano ammesse alla facoltà di teolo- gia. Quindi mi laureai in educazione reli- giosa». Il dottorato in teologia sistemati- ca, conseguito presso la Fordham Univer- sity di New York, verrà nel 1971. Esatta- mente venti anni dopo, la licenza in teolo- gia presso l’università St. Mary of the La- ke (Mundelein Seminary), nell’arcidiocesi di Chicago. La sua vita personale e professionale è ricca di spunti. Tra gli anni Sessanta e Settanta lei era una fautrice del sacerdozio femminile. Poi, però, ha cambiato idea, e l’ha cambiata dopo aver studiato, seriamente e in profondi- tà, il tema. In quegli anni se ne discuteva moltissi- mo. In tanti credevano fosse semplicemen- te una questione di maschilismo, una proi- bizione priva cioè di giustificazioni intrin- seche. All’epoca lavoravo con la Church Women United, un gruppo ecumenico. Poi, nel 1975, The Catholic Theological Society of America mi chiese di fare una ricerca sullo status della donna nella Chiesa e nella società — e di coordinare una task force in tema — anche se in realtà la cosa che più interessava era il sacerdo- zio femminile. Così, quando nel 1976 la Congregazione per la dottrina della fede pubblicò la dichiarazione Inter insigniores , in cui spiegava e confermava l’insegna- mento della Chiesa in tema, il colpo fu durissimo. Senza averlo davvero studiato, decidemmo che il testo non ci convinceva: lo considerammo solo uno dei tanti scritti, preoccupate come eravamo dal voler dire la nostra. Quando andai al secondo incon- tro sull’ordinazione femminile nel 1979, scoprii che vi erano due fazioni contrap- poste: quelli che volevano le donne sacer- dote e quelli che volevano una Chiesa cat- tolica senza sacerdoti in assoluto, a pre- scindere cioè dal sesso. I vescovi cattolici della Anglican-Roman Catholic Commis- sion mi incaricarono di preparare una rela- zione sulla Inter insigniores per spiegare ai membri anglicani della commissione per- ché la Chiesa cattolica continuava a soste- nere l’esclusione dell’ordinazione femmini- le. Quell’incarico mi obbligò a fare una cosa che fino ad allora nessuno di noi ave- va fatto: studiare davvero quel documen- to. Lo feci e ne rimasi folgorata: realizzai che l’insegnamento plurisecolare della Chiesa era giusto. Ricordo benissimo che, seduta alla mia scrivania, pensai: «Signo- re, ora dovrò dire pubblicamente che ho cambiato idea». E lo disse... Oh, sì! [sorride, e gli occhi le brillano divertiti] I miei colleghi non erano molto contenti di quello che ascoltavano! Riten- ni fosse doveroso fare seriamente chiarezza in tema e nel 1987 scrissi un articolo, Se- cond Thoughts on Inter Insigniores : provai a pubblicarlo in una rivista cattolica, ma inutilmente. Per due anni non ci fu verso. Nel 1988-89 presi quindi un anno sabatico e andai al St. John’s a Collegeville (Min- nesota): volevo cercare di studiare e ap- profondire meglio la questione, che di lì a poco sarebbe tornata al centro della scena giacché la Chiesa anglicana l’aveva con- cessa. Ricordo benissimo quando, nel 1994, ascoltai la notizia: Giovanni Paolo II aveva emanato la lettera apostolica Ordi- natio sacerdotalis , in cui ribadiva il sacerdo- zio esclusivamente maschile. Fu un terre- moto! Eppure, è tutto così chiaro: Gesù ha istituito il sacramento dell’ordinazione come un’estensione della sua stessa autori- tà. Del resto, come ripeteva il Papa, il ge- nio femminile non ha bisogno di cariche gerarchiche per affermarsi nella Chiesa! Ma sono molto comprensiva con quanti non lo capiscono, giacché io stessa prima non lo capivo. Quindi, ogni volta che me lo chiedono, sono aperta al dialogo. Ho pubblicato diversi articoli su riviste teolo- giche per dare il mio contributo e nel 2007 ho scritto un libro, The Catholic Priesthood and Women; A Guide to the Church’s Teaching , in cui non solo tento di spiegare e fare conoscere la posizione del- la Chiesa, ma cerco anche di capire perché così tanti facciano fatica ad accettare una tradizione che non è frutto di una scelta dell’istituzione ecclesiastica, ma che è in- vece collegata direttamente alla volontà di Cristo. Una missione perfetta per una donna del suo ordine religioso... Già! Faccio parte delle Missionary Ser- vants of the Most Blessed Trinity, ordine approvato canonicamente nel 1932, il cui specifico carisma è la pre- servazione della Fede. Dobbiamo cioè continua- mente cercare di approfon- dire la nostra fede persona- le, affinché possa tramutar- si in un agire retto e giusto. La nuova evangeliz- zazione è dunque il nostro quotidiano agire! (tra l’al- tro, suor Sara Butler è anche consultore del Pontificio Consiglio per la pro- mozione della nuova evangelizzazione). Da ventiquattro anni lei svolge un altro com- pito molto importante: insegna teologia dog- matica nei seminari. Come è avvenuto? Come spesso accade nella vita, un po’ per caso. Dopo due mandati nel consiglio generale della mia comunità (dal 1978 al 1988), fui invitata a insegnare teologia in un seminario: un posto si era reso vacante al Mundelein Seminary, in Illinois. Ormai sono vent’anni che insegno teologia agli uomini che si preparano per il sacerdozio diocesano. Prima al Mundelein Seminary dal 1989 al 2003, poi, tra il 2003 e il 2010, al seminario di St. Joseph (arcidiocesi di New York) e ora nuovamente a Munde- lein. Sicuramente non era questo che mi aspettavo quando lasciai Toledo, in Ohio, per entrare nella mia comunità religiosa missionaria! Eppure ho scoperto che an- che il seminario ha una dimensione mis- sionaria. Nell’autunno del 2009 il Fellowship of Ca- tholic Scholars l’ha onorata del Cardinal Wright Award per «outstanding scholarly service to the Church». Crede sia importante che le donne insegnino nei seminari ai futuri sacerdoti? Importantissimo, davvero importantissi- mo. È un arricchimento per tutti, per i singoli e per la Chiesa nel suo complesso. Credo aiuti molto gli studenti, i futuri sa- cerdoti, a conoscere le donne e a relazio- narsi con loro: non dimentichiamo che le donne sono una parte sostanziale dell’umanità! Io ho sempre avuto relazioni proficue e costruttive, anche a distanza di tempo, con i miei studenti, e con i col- leghi. Pur nelle differenze esistenti tra i due seminari in cui ho insegnato, il bilan- cio è decisamente positivo. Ho anche di- verse colleghe non religiose che insegnano con me. Ma sono eccezioni o è la regola nel suo Paese? Negli Stati Uniti ogni seminario ha al- meno una o due donne che vi insegnano. Per fortuna, dunque, non si tratta assolu- tamente di una rarità. E certo, non do- vrebbe mai esserlo. Quando finalmente lessi la «Inter insigniores» rimasi folgorata: la Chiesa aveva ragione! E seduta alla mia scrivania pensai: «Ora dovrò dire pubblicamente che ho cambiato idea» Un tempo la mimosa era un fiore come gli altri. Tutto cambiò all’inizio del 1946: nel corso dei preparativi per l’8 marzo, Rita Montagnana suggerì di associare alla ricorrenza un fiore che ne diventasse il simbolo. Fu la fiorentina Teresa Mattei a proporre il fiore giallo e profumatissimo che esplodeva proprio in quei giorni e aveva il vantaggio di essere relativamente economico. Un esempio colorato di pragmatismo femminile, associato a una buona dose di intramontabile poesia. Che le donne insegnino nei seminari è un arricchimento per tutti Per i singoli e per la Chiesa nel suo complesso Aiuta molto gli studenti — i futuri sacerdoti — a conoscere le donne e a relazionarsi con loro Sara Butler ha insegnato teologia prima al Mundelein Seminary (arcidiocesi di Chicago, 1989- 2003) e poi, fino al 2010, al seminario St. Joseph (arcidiocesi di New York). Attualmente è tornata al Mundelein Seminary, dove è professore emerito di teologia sistematica. Per la Conferenza episcopale statunitense è stata consulente teologica, facendo parte di diversi comitati dal 1973. Per la Santa Sede, invece, è stata membro della Commissione internazionale anglicana-cattolica (1991-2004) e della Conversazione internazionale tra cattolici e battisti (2008-2011). Dal 2004 è nella Commissione teologica internazionale. donne chiesa mondo

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