Cultura e realtà - anno I - n. 3-4 - marzo 1951

RITRATTO DI MACHIAVELLI 57 Di riposo soprattutto. Ché Machiavelli non si era accorto, come abbiamo già detto, di aver creato col « Principe » una figura altrettanto bella e letteraria che, poniamo, quella di Jago; e, scambiando i propri pensieri troppo intrisi di sangue per azioni, doveva aver sentito l'im– possibilità di concludere il libro allo stesso modo col quale l'aveva co– minciato. Insomma, l'accusa di immoralità che i posteri hanno poi rivol– to a Machiavelli, Machiavelli stesso, con comprensibile scrupolo, se la rivolse prima di tutto a se stesso. Tutto questo forse non fu del tutto consapevole; non toglie che, di fronte all'ultimo capitolo, sia legittimo pensare che le cose andarono proprio in questo modo. Ma l'operazione: era psicologica e non poteva essere politica; o meglio, attuata in politica non poteva che fallire. Si pensi: il « Principe » di Machiavelli, con quello scetticismo, quelle efferatezze, quelle ambizioni, e quei mezzi che conosciamo il quale, tutto ad un tratto, come stanco e pieno di ripugnanza per l'esser suo, decide di sublimare questo assieme di qua– lità negative nella qualità positiva dell'amor di patria. È lecito imma– ginare che questa volontà di sublimamazione resterà allo stato intenzio– nale; e piuttosto che sfogarsi in azione, si esprimerà in retorica. Si tocca qui uno dei punti più segreti e delicati della personalità di Machiavelli: il dissidio tra l'energico, realistico, ed esatto osservatore della cosa politica e l'umanista retoric~ e letterario di certe parti dei «Discorsi» e del «Principe». Noi sappiamo che Machiavelli non era un retore né un letterato vuoto e formale come tanti suoi contempo– ranei; e tuttavia la retorica, senza che egli se ne renda conto, gonfia e svuota più di una sua pagina. Ora la retorica, quell'allegare, come dice il Guicciardini, ad ogni parola i Romani, viene dall'insufficiente e. incompleta sublimazione del decadentismo di Machiavelli, dalla sua vana aspirazione ad una catarsi che lo rinnovi e lo purifichi. Se il Ma– chiavelli fosse stato come il Guicciardini, un uomo mediocre e perfet– tamente consapevole dei propri limiti e dentro questi limiti ordinato ed equilibrato, non avrebbe allegato i Romani; né li avrebbe allegati se, mi si consenta il bisticcio, fosse stato egli stesso così romano da non sentire la necessità di allegarli. Invece egli non ha quella mediocrità né questa grandezza. Egli non accetta la propria condizione di esauri– mento e tuttavia non ha la forza, e come potrebbe averla? di cambiarla in uno stato positivo e veramente energico. Donde, il molto di umani– stico e di letterario dei suoi toni più alti. Come, per adoperare le parole stesse di Machiavelli, di qualcosa che vorrebbe essere e non è. . Biblioteca Gino Bianco

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