Cultura e realtà - anno I - n. 3-4 - marzo 1951

56 ALBERTO MORAVIA certe teorie, di giungere fino alle estreme conseguenze. Un Machiavelli veramente degno dell'accusa_ di machiavellismo, avrebbe terminato il «Principe» sul capitolo venticinque, dandoci così un libro bello piut– tosto che sapiente, perfetto piuttosto che utile, vissuto e agito piuttosto che pensato, vera testa di Medusa che avrebbe affascinato e confuso per i secoli i lettori incomprensivi. Un Machiavelli poeta non pensatore pratico, si sarebbe contentato di tratteggiare in prosa indistruttibile la figura fantastica del «Principe». Ma Machiavelli aveva scritto il « Prin– cipe» non per consapevole machiavellismo ossia per la consapevole vo– lontà di condensare in un libro tutto quanto aveva osservato e anche praticato durante i suoi anni di professione politica; non per istinto di poeta che vagheggi e accarezzi in un'aria tutta estetica una figura terri– bile; ma, come abbiamo già detto, per trarsi dalla gora dell'indifferen– za, per dim9strare a se stesso di essere vivo, per ferirsi e sentirsi ferito. Ad un t:tle Machiavelli minato da questo autobiografismo, ci voleva, dopo essersi quasi voluttuosamente avvoltolato nella propria sincerità, una catarsi. Una catarsi qualsiasi che lo sciogliesse dall'atroce indivi– dualismo anarchico in cui la propria coerenza lo piombava, e lo riam– mettesse al calore dell'umanità. Una catarsi, insomma, che mettesse a tacere il senso di eccesso e di smodatezza che non poteva non aver su– scitato in lui l'opera del «Principe». Questa catarsi non poteva, con tali premesse, essere religiosa. _Un Machiavelli che alla fine del « Prin– cipe» avesse auspicato, al modo di Savonarola, l'avvento di un nuovo cristianesimo che purificasse dall'imo gli Italiani, sarebbe stato oltre che inconcepibile, veramente inconseguente. La catarsi la trovò invece nel patriottismo. Con caratteristica mediazione del suo decadentismo m retorica, Machiavelli cercò di operare la impossibile trasmutazione di una somma ingente di valori negativi in ·uno solo ma positivo: la patria. Per tutti questi motivi, crediamo che nella lirica esortazione del– l'ultimo capitolo, non sia da vedersi né una conclusione premeditata, né un atto politico, bensì soltanto l'anelito alla liberazione e alla reden,. zione di un uomo che si era costretto per tutto il libro alla più ferrea e insopportabile conseguenza. Sotto guest'aspetto, cadono certo le accu– se di immoralità che in tutti i tempi sono state ~osse a Machiavelli. L'ultimo capitolo, insomma non è altro che l'accasciarsi di un corridore esausto alla fine di una corsa, una specie di richiesta di pietà e di nposo. BibliotecaGino Bianco

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