Cultura e realtà - anno I - n. 3-4 - marzo 1951

54 ALBERTO MORAVIA chiavelli, ha una crudele sentenza a proposito di coloro che adducono frequentemente l'esempio di Roma. « Quanto si ingannano coloro che ad ogni parola allegano e' ~omani. Bisognerebbe avere una città con– dizionata come era la loro e poi governarsi secondo quello esempio: il quale a chi ha le qualità disproporzionate è tanto disproporzionato, quanto sarebbe volere che un asino facesse il corso di un cavallo». Ora, secondo noi, il difetto di Machiavelli sarebbe stato non tanto di allegare ad ogni parola i romani, quanto di allegarli in maniera esteriore e, insomma, retorica, ripiegando sopra la supposta tecnica politica di quel grande popolo, soltanto perché non era in grado di vedere quali altre forze, ben più valide e profonde di quelle meramente politiche e mili– tari avevano contribuito a fondare quella grandezza. Forse, per dirla in una parola, religiose e non soltanto tecniche. Proprio quelle forze che avevano fatto grande il papato da Machiavelli deriso; quelle forze che vengono appunto dal considerare come si dovrebbe vivere e non come si vive, dal lasciare quello che si fa per quello che si dovreb– be fare. E veniamo ora al più famoso e disputato capitolo del « Principe », vogliamo dire al capitolo ultimo, dove, in maniera apparentemente inaspettata, Machiavelli pianta in asso il « principe » e il « lione e la golpe», e scrive l'esortazione a scacciare i barbari dall'Italia. In gene– rale, oltre alla schiera di coloro che non ne tengono alcun conto, si notano intorno a questo capitolo due tesi: l'una che il capitolo è in contraddizione pura e semplice con quanto lo precede, la seconda che tutto il «Principe» è stato scritto in funzione di quest'ultimo capitolo, e che, insomma, Machiavelli vi profeta la liberazione e l'unità d'Italia. A nostro parere le due tesi sono egualmente errate. In realtà, l'ultimo capitolo non forma alcuna contraddizione con quanto lo precede; né, tuttavia, il « principe n è stato scritto in funzione di esso. L'ultimo capitolo è una veemente esortazione a cacciare i barbari dall'Italia e a ricostruire la patria. Ma .tutto il « Principe » altro non è che un'opera di distruzione di quegli elementi appunto che compon– gono la patria. Patria non è un concetto astratto né una mera espressio-· ne geografica: oltre la terra e gli uomini, è la cultura, la tradizione, la religione, i costumi, le arti, gli affetti, la libertà. Quando tutti questi elementi siano o inesistenti, o corrotti, o compresi, o distrutti, ben poco rimane della patria, proprio una astrazione dietro la quale si na– scondono forze con fini e natura diverse, ad esempio gli interessi di BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy