Cultura e realtà - anno I - n. 3-4 - marzo 1951

50 ALBERTO MORAVIA e di loto, si mette panni curiali e reali, entra nelle corti antiche degli uomini antichi e con loro discorre, ossia come annunzia a Vettori più sotto, scrive il « Principe ». La lettera è molto bella, soprattutto per il contrasto, energicamente espresso, tra i grandi pensieri e la dignità di Machiavelli e il mondo incivile e grossolano che lo circonda. Ma questo contrasto non va senza una specie di compiacimento crudele e amaro. Come di uomo che per rendersi pienamente conto del proprio valore abbia in certo mo<lo bisogno di vedersi misconosciuto e vilipeso. « Così mi rinvolto entro questi pidocchi, traggo el cervello di muffa e sfogo questa malignità di questa mia sorte, sendo contento mi calpesti per questa via, per vedere se la se ne vergognasse». Non è certamente il tono di un uomo che sapendo quel che vale e vedendosi incompreso si ritira fiero in villa e vi fa la vita dell'umanista. Vi si sente semmai quasi una voluttà di abbassamento che, si noti bene, agisce da stimolo; come di una molla che acquista tutta la sua forza soltanto se è com– pressa. « Sendo contento mi calpesti ... ». La frase è assai significativa di una infelicità torbida e ritorta. Machiavelli sente la sventura come una specie di tonico. II suo esaurimento etico non gli consente la tran– quilla indipendenza dell'animo libero e vittorioso; gli rende necessari questi disperati reagenti. Ma sono rimedi pericolosi; e una volta che la sensibilità vi si abitui, non ne può più fare a meno. L'invocazione ai Medici che almeno gli facciano « voltolare un sasso » appartiene allo stesso ordine di idee che gli detta la frase sulla sorte che lo calpesta. Nella prima c'è quasi un compiacimento dell'abbassamento, allo scopo di non adattarvisi e di risentirlo come tale; nella seconda c'è un'aspira– zione ad una funzione qualsiasi, anche umiliante, pur di vedersi esi– stere. In ambedue Machiavelli cerca di stimolare una sensibilità altri– menti pigra e inerte. Anche il «Principe», in un piano più alto, non è che una leva per sollevare il peso mortale di questa apatia. In realtà Machiavelli aveva bisogno di vivere; aveva bisogno di sentirsi vivo. È noto che questo bisogno non occorre agli uomini vera– mente vitali, in cui tutte le attività siano equilibrate ed egualmente vivaci. Questi uomini, in caso disperato, possono sempre rifugiarsi nd loro « particulare » che, oltre agli interessi privati, come abbiamo già detto, può essere la retta e tranquilla coscienza, il gusto per l'indipen– denza, il senso del mistero. Invece l'uomo esaurito, insufficiente, sente il bisogno di frustare a sangue la propria sensibilità, ritorèendo i pro– pri sentimenti, come si fa con le corde, per renderli più forti. Nascono BibliotecaGino Bianco

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