Cultura e realtà - anno I - n. 3-4 - marzo 1951

DOCUMENTI 183 -senza stessa è l'esistenza. Per accettare il reale nella sua interezza, bisogna concepire l'essere nel senso pieno di questa parola, come la comunità del– l'essenza e dell'esistenza, di modo che non possa darsi essere reale, nell'or– -drne della nostra esperienza, che non sia un'essenza attualmente esistente e un esistente concepibile attraverso l'essenza che lo definisce. Di questi due elementi del reale, occorre situare al primo posto quello -senza il quale il problema della sua intelligibilità non potrebbe neanche porsi. Vale a dire l'esistenza, senza la quale non si potrebbe pensare a niente, neanche al possibile. D'altra parte, nei limfri della nostra esperienza, sem– bra che l'esistenza pura resti• inafferrabile e non si lasci intravvedere che attraverso questa o quest'altra delle sue modalità. È questa indubbiame!lte la ragione per cui le filosofie che si richiamano oggi con più vigore all'esi– stenza parlano in realtà di tutt'altro e si accontentano di analizzare sotto il suo nome le modalità proprie al Dasein umano, che non è altro esso stesso che una delle modalità dell'esistenza in generale. Occorre dunque ritornare a questa intuizione fondamentale di Platone, completamente illuminata pit1 tardi da Plotino e Scoto Eriugena, che l'essere include la manifestazione pri– ma e immediata di un altro dall'essenza, che esso rivela senza esaurirla. La scelta di quest'altro costituisce precisamente la posizione razionale ini– ziale, che decide di quel che saranno la nostra metafisica dell'essere e delle cause, la nostra filosofia della natura e la nostra morale, in una parola la nostra filosofia. L'essere intelligibile può essere pensato sia, con Platone, come una « agatofania », sia, con Plotino, come una « enofania », sia ancora, con Scoto Eriugena, come una «teofania,»; quale che sia la decisione che si prende, si porta una volta per tutte la metafisica su una strada da cui le sarà ormai impossibile allontanarsi. Ciò che c'è di comune in queste diverse decisioni è la sensazione piena– mente giustificata, ci sembra, che non si può scrutare attentamente l'essenza intelligibile senza collegarla a un altro dall'essenza che sfugge alle possibi– lità del concetto. È infatti significativo che Platone, Plotino ed Eriugena: ab– biano ugualmente considerato i termini ultimi cui li conduceva la loro dia– lettica come altrettanti simboli d'un supremo inconoscibile o, per meglio dire, d'un ultimo principio che trnscende l'intelli'gibile. Non è solo per noi, ma per se stesso, che il Dio d'Eriugena è inconoscibile, ed è per eccesso che non è intelligibile, non per difetto. Altrettanto si può dire per l'Uno di Plotino e per quel Bene che Platone metteva al di sopra dell'essere. Senonché, quando si sia detto tutto, rimane il fatto che in queste diverse dottrine, l'altro dall'es– sere, che si evita con tanta cura di pensare, riesce sempre insidiosamente a BibliotecaGino Bianco

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