Cultura e realtà - anno I - n. 3-4 - marzo 1951

14 FELICE BALBO IV Da quando del resto i termini usuali con cui i filosofi parlano del loro lavoro o giudicano le filosofie non sono più propria.mente e in primo luogo « vero » e «falso», ma « importante» o « insignifican– te », « originale » o « banale », « eretico » o « dogmatico», « sincero n o «retorico», ecc. ecc. si può dire che la fiducia nel filosofare come tale e non solo in questa o quella filosofia è scossa in radice. Senza possibilità di contestazione. È fin troppo ovvio, infatti, per quanto spes– so non volentieri ricordato, che, se in qualche modo la filosofia non raggiunge la verità, la filosofia non ha senso, che, se in qualche modo la verità non è una per tutti, la verità non ha senso: che quindi una « filosofia importante » è un fatto, un bene economico, un potere so– ciale, un osservabile misurabile ma non dice nulla, come tale, sulla filosofia, che una « filosofia originale» si arresta all'opinione, all'in– tuizione, all'enunciazione di relazioni non ancora conosciute ma di cui ignora propriamente la verità, una « filosofia eretica» rompe qual– che limite precedente ma senza conoscere quello nuovo che pone, sen– za sapere cosa sia l'errore, una « filosofia sincera» esprime l'esistenza ma nega la comunicazione. E così via. La correlazione tra queste osservazioni e quelle fatte sopra è troppo ovvia ormai per insistervi. Non parrà più dunque tanto strano allora che la filosofia venga così diffusamente considerata un verbalismo inutile. Convinzione di inutilità che è ben più diffusa di quanto non sia espressa ed enun– ciata, e, almeno come convinzione oscuramente rifiutata, diffusa anche presso i filosofi di professione (specie se ottimisti di professione), per– ché evidentemente diviene tanto più forte quanto più la filosofia vie– ne a mancare di fatto e quanto più si chiede alle macchine, alle «cose», alle misurazioni, di « dimostrarne » l'utilità. Ma quando la filosofia decade o scompare è, lo si voglia o no, la coscienza di un'epoca che diventa incerta, vacillante, oppressa. Ser– peggia il dubbio sull'intera vita, sul suo senso, e muore la speranza. Si deprime allora la tensione vitale più profonda dell'uomo la sua forza spirituale e quindi non solo l'intelligenza ma anche la volontà. Questa volta però la decadenza morale non prende coscienza di se stessa in una forma esplicita di « filosofia morale » come altra volta aveva preso, con lo stoicismo, l'epicureismo, il cinismo. Prende forma BibliotecaGino Bianco

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