Cultura e realtà - anno I - n. 3-4 - marzo 1951

144 DOCUMENTI erronea per la dimostrazione stessa della storia. Ed è questa del resto la sorte di qualsivoglia analisi storiografica, che riduca il sistema sociale, quale che esso sia, alla sua sola dimensione economica e lo esclusivizzi semplz'cemente zn essa. Malgrado la sua attenzione a sfuggire alla concezione socialdemocra– tica, ad evitare la « visione puramente evoluzionistica dello sviluppo storico attraverso stadi successivi», il Dobb non esce affatto da quella riduzione semplice e anzi la patisce nel modo più completo. E come potrebbe essere altrimenti? Il Dobb, come in genere tutti i marxisti contemporanei, non ha minimamente approfondito né sviluppato una questione capitale. E çlel resto fino ad oggi il solo Gramsci ha saputo individuare quel problema, la cui soluzione farebbe uscire la storiografia marxista e in generale quella moderna dall'impasse in cui si trovano. Tocchiamo qui il punto decisivo·. Le ideologie, come ha avvertito il Gramsci, non sono pure apparenze. Sono anzi, è bene aggiungere, condi– zioni formali e specificanti del processo storico; e ogni arresto nella produzione e nello sviluppo dell'ideologia è fonte di catastrofe, così come ogni arresto, ogni strozzatura nella vita del sistema ecÒnomico. Il modo di sviluppo di un qualsivoglia sistema sociale, quindi, è condizionato non solo dal suo sistema economico ma anche dal suo sistema culturale, non solo dal– l'economia, ma anche dall'ideologia, ossia dalla possibilità e dal 'attualità del– lo sviluppo più o meno omogeneo della produzione ideologica ed economica. Il Dobb è ben lungi dal!'avvertire l'esistenza del problema individuato dal Gramsci. E a maggior ragione quindi è incapace anche di presentire quale rivoluzione filosofica e metodologica comporti un simile problema, quando si passi al tentativo di risolverlo. Egli rimane tranquillamente e senza sospetti nell'ambito della riduzione semplice del sistema sociale alla sua dimensione economica. E per evitare di concludere alla catastroficità radicale del sistema del feudo, deve allora scivolare neceuariamente nella storiografia dei fattori. Sono dunque la parzialità e l'insufficienza delle categorie storiografi– che di struttura e sovrastruttura, che stanno al fondo dell'inadeguatezza e che formano il limite erroneo dell'analisi non solo dello Sweezy ma anche del Dobb? È solo superando tutto questo che si può finalmente liquidare in modo pieno e senza residui la concezione socialdemocratica e la « visione puramente evoluzionistica dello sviluppo storico»? Così sembra di dover ritenere. E se ne ha la conferma proprio nell'in– sufficienza con cui lo Sweezy ed il Dobb sistemano i due ultimi secoli del periodo medievale. Il primo affacciando l'ipotesi di una produzione mer– cantile precapitalistica, non è molto lontano dal « pantano di Pokrovsky » del « capitalismo commerciale». Ma il secondo, non riuscendo a cogliere la specificità della fase delle « monarchie assolute», cade in genericità tali, da dimenticare persino che il Marx, fin dal Manifesto dei comunisti, aveva esattamente affermato che la borghesia fu « da per tutto pietra angolare delle grandi monarchie». Così sembra che « questi due secoli restino sospesi per aria in modo BibliotecaGino Bianco

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