Cultura e realtà - anno I - n. 3-4 - marzo 1951

138 LETTURE Paolo. L'esperienza religiosa luterana porta al fallimento di tutti 1 nostri principi e di tutte le nostre misure naturalistiche; essa mostra che si è forti solo se si è deboli. Non si può vivere solo di superbia e di sufficienza ri– spetto a se stessi. V'è una vita alla cui luce tutte le valutazioni morali fon– date e correnti, ogni perfezione come ogni autodifesa del nostro carattere, appare estremamente infantile. Deporre schiettamente la propria superbia, rinunciare alla speranza di potere essere buoni per forza propria, questa è l'unica porta verso i regni più profondi del cosmo». « ... Il fenomeno curioso consiste in questo che dopo momenti di estre– ma disperazione, interiormente ci si rivelano nuovi ordinamenti di vita. Si danno in noi sorgenti d'aiuto di cui il naturalismo con le sue prescrizioni morali servilmente osservate e il suo legalismo non si preoccupa minima– mente; possibilità che ci rapiscono il respiro; una nuova forma di felicità interna, di interna potenza che si fonda sul fatto che noi rinunciamo alla nostra propria volontà per lasciare agire in suo luogo qualcosa di più alto. Queste nuove potenze vitali sembrano rivelare un mondo che è più ampio e più comprensivo di quanto la fisica e la comune etica filistea si lascino sognare. V'è qui un mondo in cui tutto è bene malgrado alcune forme di morte, meglio, per via di certe forme di morte - morte della speranza e della forza, morte della « responsabilità », del timore e delle preoccupazioni meschine, del merito e del valore personale, in breve la morte di tutto ciò su cui fondavano la loro fiducia e avevano fede paganesimo, naturalismo e legalismo. La ragione che elabora le altre nostre esperienze, anche quelle psicologiche, non aveva mai potuto considerare queste esperienze specifi– catamente religiose prima del loro effettivo verificarsi. Essa non ne poteva presupporre l'esistenza poiché esse sono una « rottura>> rispetto alle espe– rienze « naturali », cui seguono e di cui sovrastano i valori. Ma nella misura in cui tali esperienze religiose effettivamente si verificano, il creato s'allarga, innanzi allo sguardo di coloro che le vivono. Esse stanno a significare che la nostra esperienza naturale, che la nostra esperienza strettamente morale e rnzionalc non sono che una parte della complessa esperienza umana. Esse danno alla natura dei contorni meno duri, meno definiti ed aprono davanti allo spirito le possibilità e le vedute più straordinarie». Il misconoscimento più sciocco e più comico che l'umiltà cristiana ha subìto presso alcuni borghesi moderni è certo quello che la fa apparire come una specie di «servilità» consacrata ed elevata a virtù; come la virtù dei poveri, dei deboli,, dei piccoli. Che quell'habitus che si ch,iama « superbia borghese davanti ai troni regali », quell'atteggiamento di tutti i parvenus, BibliotecaGino Bianco

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