Cultura e realtà - anno I - n. 3-4 - marzo 1951

LETTURE 117 assoluto anche lo scetticismo? Come poter avanzare radicalmente e su tutto il dubbio, senza dubitare del dubbio medesimo? Come poter raccomandare la positività dei propri principi se non moderandoli, infine, quando si è così ben compreso « che il consorzio umano dovrebbe perire se... (essi) avessero un'assoluta e universal prevalenza »? Lungi dunque dall'ignorare o nascondere il proprio carattere sofistico («Sembrerà assai strano che gli scettici intendano distruggere la ragione con ragionamenti e giudizi, eppure questo è il grande intento di tutte le loro critiche e ricerche») la scepsi si presenta in queste pagine, con forza insu– perata, come il massimo graao di autocoscienza costruttiva attingibile dal– l'intelletto umano: non cioè come un'irrazionale ed estenuata abdicazione alla conoscenza, ma come l'unico trascendimento teoretico efficace rispetto alla intrinseca vanità di ogni ricerca; non come la conseguenza necessaria se pur disperata dell'empirismo, ma come la premessa critica luminosa e confortante rispetto a cui l'empirismo - il lasciare « i voli troppo alti alle ornate penne della poesia e della eloquenza, oppure all'oratoria dal pulpito e dall'arengo» - diventa il modo migliore non solo di pensare, ma di vivere. Qui, in questa capacità davvero unica di far apparire soddisfacente l'abito esistenziale più desolato che l'umanità conosca, il punto più alto raggiunto nell'ordine della pura e separata intelligenza dalla posizione hu– miana; qui il segreto profondo della sua straordinaria potenza ideologica. Ma qui forse anche - vorremmo aggiungere - il segno inesorabile di una falsità che ormai può dirsi, in più di un senso, palese. Poiché questo almeno è divenuto innegabile, che « la strana condizione umana » se pur ricorre oggi con intensità mai vista a una posizione del genere, non vi ri– corre altro che mossa dal disgusto e dalla disperazione: riconoscendovi non più il bonario e signorile distintivo della saggezza, come voleva Hume, ma quello amaro della rinuncia e della decadenza; non più il lievito tranquil– lante di un cammino che appare tutto da percorrere, ma la consolazione muta e irosa di una rovina che appare così incomprensibile da disarmare persino la stessa volontà di arrestarla. Non fosse altro che per ciò dunque si dovrebbe capire, da parte di chi non si rassegna a questa inedia, come il problema delle premesse dello scetticismo e dell'empirismo assuma oggi una importanza decisiva non solo per lo sviluppo della storia del pensiero ma per quello ben più ampio della vita medesima di tutta la società. E non a caso diciamo il problema delle premesse dello scetticismo e dell'empirismo. Posizioni queste da cui oggi non si parte liberamente, come si poteva tentare nei giorni ormai lontani del dorato sogno borghese di Hume, ma a cui anzi inesorabilmente si ar– riva come al culmine indesiderato di un'esperienza plurisecolal'e di falli– menti e di sconfitte, sono i loro presupposti e solo i loro presupposti quelli che realmente possono oggi interessare una ricerca teoretica non vana; e nemmeno - si noti - per se stessi, bensì per le inquietanti insufficienze che rivelano nel pensiero del mondo e che da sempre, sebbene oggi più che mai, li fanno sembrar veri. · Bibliote'Ca Gino Bianco

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