Cultura e realtà - anno I - n. 2 - luglio-agosto 1950
94 LETTURE offerte dei Sovièti, anche quando si trattava di forniture di grano. Non con mia completa sodisfazione, se mi è lecito aggiungere. Essendo mode– rato e uomo di cultura provo un naturale orrore per la rivoluzione radicale e per la dittatura della classe inferiore, che per mia natura non saprei immaginare se non sotto l'aspetto dell'anarchia e della oclocrazia, insomma della distruzione della civiltà. Ma se ripenso al grottesco aneddoto dei due salvatori della moralità europea pagati dai grandi capitalisti - quello tede– sco e quello italiano - i quali, visitando la Galleria degli Uffizi di Firenze~ posto in verità non fatto per loro, si assicuravano a vicenda che tutti quei magnifici tesori d'arte sarebbero stati distrutti dal bolscevismo se il cielo non l'avesse evitato portando al potere loro due - quando penso a questo, il mio concetto di oclocrazia subisce una revisione e il dominio della classe inferiore sembra a me, cittadino e borghese tedesco, uno stato ideale al confronto, ormai possibile, col dominio della feccia. Per quanto io sappia, il bolscevismo non ha mai distrutto opere d'arte: questo fu piuttosto un compito di coloro che affermavano di volerci proteggere dal bolscevismo. E non mancò forse poco che della loro smania di calpestare lo spirito - un piacere ben lontano dal così detto « dominio della plebe » - fosse vittima anche l'opera di Adrian Leverkiihn, il protagonista di questi fogli?' La loro vittoria e il loro potere storico di dar assetto a questo mondo se– condo il loro sconcio arbitrio non avrebbero forse fatto perdere alla sua opera la vita e l'immortalità? Ventisei anni or sono la ripugnanza contro la facondia presuntuosa della retorica borghese e dei « figli della rivoluzione » si dimostrò nel mio cuore più forte della paura del disordine e mi fece desiderare ciò che essi preci– samente non desideravano, cioè l'avvicinamento del mio paese sconfitto alla sua sorella di pena, la Russia, e in questo punto ero disposto ad accettare, anzi ad approvare i rivolgimenti sociali che sarebbero derivati da quest'al– leanza. La rivoluzione russa mi aveva commosso, e la superiorità storica dei suoi princìpi sopra quelli delle Potenze che ci mettevano i piedi sul collo era, secondo me, fuori di ogni dubbio. In seguito la storia mi ha insegnato a considerare con altri occhi i vincitori di allora, che tra poco insieme con la rivoluzione dell'Oriente sa– .ranno tali un'altra volta. È vero: certi stati della democrazia borghese pa– revano e paiono anche oggi maturi per quello che io ho chiamato il domi– nio della feccia, pronti ad allearsi con questa democrazia per prolungare i loro privilegi. Tuttavia essa ha trovato dei capi che, al pari di me, figlio dell'umanesimo, scorsero in questo dominio l'estrema soluzione possibile per BibliotecaGino Bianco
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