Cultura e realtà - anno I - n. 2 - luglio-agosto 1950

LETTURE 89 dine ai più avventurosi eccessi. Il fatto che la Germania potrebbe diven– tare teatro di una delle nostre guerre appartiene al campo della fantasia e delle cose che cozzano contro qualsiasi ordine e qualsiasi previsione. Ven– ticinque anni or sono l'abbiamo saputo impedire all'ultimo istante, ma la nostra sempre più tragica ed eroica condizione di spirito non ci consente più, a quanto pare, di liquidare una causa perduta prima che l'inaudito diventi realtà. Grazie a Dio, ci sono ancora ampie distese fra la sciagura che avanza da Oriente e le terre della nostra patria, e noi possiamo anche essere disposti ad accettare su questo fronte qualche perdita mortificante per difendere con energia tanto più tenace il nostro spazio vitale europeo con– tro gli occidentali, nemici giurati del nostro ordine tedesco. L'invasione della bella Sicilia ha dimostrato tutto, fuorché la possibilità per il nemico di insediarsi sul continente italiano. Disgraziatamente però anche questo è stato possibile, e la settimana scorsa è scoppiato a Napoli un tumulto comu– nista vantaggioso per gli alleati, che fece capire come la città non fosse più un soggiorno degno di truppe tedesche, di modo che noi, dopo avere coscienziosamente distrutto la biblioteca e lasciato alla posta centrale una bomba a scoppio ritardato abbiamo sgombrato la città a testa alta. Intanto si parla di esperimenti d'invasione nel Canale che sarebbe tutto coperto di navi; e il cittadino si permette di domandare se ciò che successe in Italia, e potrà succedere in seguito su per la penisola, possa avvemre, contro la prescritta fiducia nell'inviolabilità della fortezza europea, anche in Fran– cia e altrove. Sicuro, monsignor Hinterpfortner ha ragione: noi siamo perduti. Cioè • la guerra è perduta. Ma ciò significa più d'una campagna perduta: signi– fica di fatto che perduti siamo noi, perduta è la nostra causa, perduta la nostra anima e la nostra fede e la nostra storia. È finita per la Germania, è finita. Si prospetta un crollo indicibile, economico, politico, morale e spirituale, universale insomma. Non vorrei avere desiderato ciò che si pre– senta, poiché è la disperazione, è la follia. Non vogl~o averlo desiderato, perché troppo è profonda la mia pietà, la mia piangente compassione per questo popolo sciagurato. E quando penso alla sua ascesa e al suo cieco fervore, al suo slancio e al suo crollo, al preteso ricominciamento purificato– re, alla rinascita popolare di dieci anni fa, a quella frenesia apparentemente sacra, alla quale però - indizio ammonitore della sua falsità - si aggiun-, geva molta rozza volgarità, molta bestialità sanguinaria, molta lurida sma– nia di profanare, di torturare, di umiliare, quando penso, dico, a quella frenesia che, con molta chiarezza per coloro che sapevano vedere, conte- iblioteca Gino Bianco

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