Cultura e realtà - anno I - n. 2 - luglio-agosto 1950
LETTURE 85 tutto questo è appunto il segno angoscioso del pericolo della fine della ci– viltà comune. Per questo la cultura europea è giunta al bivio; e, se non si saprà incamminare sulla strada della comune autocritica, allo schiaccia– mento di un cultura e di un popolo seguiranno inevitabilmente la rovina e l'annientamento di altre culture e di altre nazioni. Ma è possibile allora cogliere l'aspetto pi.ù riposto e più decisivo del problema tedesco e di quel destino storico di cui si è parlato. L'esistenza della Germania ha impedito all'Europa di stabilire durevolmente sul mondo un dominio che sarebbe risultato intriso di tirannia. La Germania cioè ha rivelato storicamente, e ha verificato nella pratica al prezzo dei suoi delitti e del suo disastro, che troppe erano le insufficienze e troppo grande l'inca,. pacità dell'Europa a stabilire quella effettiva egemonia mondiale che pure era ed è necessaria al costituirsì della comunità. Il destino dell'Europa non è pertanto quello di morire di vecchiaia al sommo di un apogeo per l'affondarsi nella decrepitezza di strutture cultu– rali ed economiche impotenti a una continuità di sviluppo. Questo fu il destino di altre civiltà; potrebbe esserlo, in ipotesi, di altre ancora. Ma non dell'Europa, le cui insufficienze non sono state pagate solo da altri popoli, dalle civiltà meno progredite. L'Europa non è caduta, come l'Impero dei persiani o quello di Roma o gli antichi imperi dell'Asia e del continente Colombiano, per semplice decrepitezza e incapacità di accogliere il nuovo; essa si è dilaniata, essa ha saputo suscitare nel suo seno stesso i demoni della disperazione e della vendetta. Per questo, al di là di ogni orrore, è possibile confidare in una sicu- 1·ezza di continuità e di rinascita. Poiché è da tempo che l'Europa si auto– critica nella pratica, sanguinosamente ed eroicamente sforzandosi di libe– rarsi dalla insufficienza della sua cultura. Poiché è da tempo insomma che, sia pure a vuoto, sia pure in semplice antitesi con la cultura e con la ra– gione e quindi lungo un cammino di distruzione e di fallimento, essa opera, per usare una espressione di Thomas Mann, « degli enormi investimenti di fede, di entusiasmo, di esaltazione storica» che reggono il paragone con quelli operati dai popoli delle vecchie colonie e semicolonie europee. L' « uma– nesimo cristiano» sa dunque - fatto originalissimo e primo nella storia della civiltà umana - suscitare i flagellatori dei suoi stessi errori. E questo fatto è per noi una certezza a cui sappiamo di non potere e non dover rinunziare; e non soltanto per la speranza in « un miracolo superiore a ogni fede>). Così, dunque, problema tedesco e problema dell'Europa, problema eu– ropeo e problema del mondo sono la stessa cosa. Che questo venga com– preso è condizione fondamentale per la ripresa. Quella Germania che, come inimitabilmente dice Mann, « coi pomelli accesi traballava allora al colmo dei suoi orrendi trionfi, in procinto di conquistare il mondo in virtù del solo trattato che era disposta ad osservare e che aveva firmato col suo sangue», e che in molti sensi ancora « oggi, avvinghiata dai detnoni, co- Biblioteca Gino Bianco
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