Cultura e realtà - anno I - n. 2 - luglio-agosto 1950
DISCUSSIONI 81 vedere ogni tanto, un'ampiezza meravigliosa si ricava dall'armonia di mi– nuti, sparsi ritagli. Dalla loro parte c'è Hemingway - non ostante (anzi forse proprio per questo) la fondamentale vuotaggine americana che egli avverte intorno a sé e di cui lui stesso fa parte -, Hemingway che sente il bisogno di rifarsi ai rapporti fondamentali dell'uomo con le cose, pescare bene, accendere bene i fuochi, stabilire bene i rapporti da uomo a donna, da uomo a uomo, far saltare bene i ponti (solo che gli manca la prospet– tiva generale, e s'infutilisce, s'annoia; cosa ce ne importa delle corride, anche ben fatte?). Potrei continuare, ma vorrei farti notare una cosa: t'ho fatto il nome <li tre atei, e non è un caso. Ecco che forse queste riflessioni si possono al– largare; quel presupporre un «paradiso» (angiolesco o salciccesco), l'uomo continuamente al confine d'un regno solo suo (non di lui e della pietra, di lui e del ramarro, di lui e dell'idrogeno, della muffa, delle balene, della grandine), quel presupporre separate dalle cose le virtù che dalle cose de– rivano, io credo ora di capire è ciò che tu chiami religione. Mentre questo bruciare le ricompense ai propri gesti nel solco dei propri doveri e mestieri, stabiliti con scienza e fiducia, sarebbe poi quell'atteggiamento verso il mon– do che, spesso, discutendo a voce con te, sostenevo con la definizione di ateismo ateo. Tu dici che una tale posizione non si regge filosoficamente, ma che importa? abbiamo tanti secoli davanti per pensarci. Solo su questa via, io penso, si può evitare di « perdere ogni intelligenza reale della storia» di « scegliere per valutarla un paradigma privo di senso». Scusami la lettera abborracciata e se per entrare in discussione sulla tua rivista ho scelto un argomento (apparentemente) marginale, ma il topo co– mincia a rodere il formaggio dai lati. Ciao ITALO CALVINO Biblioteca Gino Bianco
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