Cultura e realtà - anno I - n. 2 - luglio-agosto 1950

80 DISCUSSIONI fortunati modi di paradiseggiare. (Ma con i miti rousseauiani credo biso– gna andar piano: non è mica detto che uno perché gli son piaciuti i mari del Sud - al tempo in cui si poteva credere ancora a queste cose, s'inten– de - sia uno stolto maniaco d'evasioni: se poi ci va sul serio, magari ci si trova bene e ci ha pane per i suoi denti: a Gauguin e a Stevenson è suc– cesso così). E sempre una sottospecie di « paradisiaci », secondo me, sono gli « in– fernali », con la stessa preoccupazione d'un assoluto umano da raggiungere, che per loro è l'antiumano assoluto, il Dio terribile o la sua terribile assenza (anzi, Assenza). Kafka è quello· che va più a fondo in questa direzione in– fernale, perché è quello che la soffre fino in fondo concretamente e vuol sperimentare se davvero non ci sono vie d'uscita, e inventa (o scopre guar– dandosi attorno) certi inferni che Dante non se li sarebbe mai sognati. (A proposito, su Dante non vorrei dire sciocchezze, ma mi sa che non sia per nulla « infernale» e per nulla « paradisiaco», con quella sua fedeltà agli uomini come sono, alla «terra»). Gli esistenzialisti francesi invece l'inferno sono più propensi a bamboleggiarlo, a coltivarselo: l'inferno gelatinoso e pe– loso dell' «esistere», in Sartre; l'inferno freddamente insensato ma con an– nessi spiaggia e ombrelloni, in Camus. È certo ben lungi da loro che vado cercando gli esempi di quel che intendo per « uscita dal paradiso », gli uomini che hanno per patria le cose che fanno e che vedono, - patria continuamente contrastata e da ricon– quistare -, gli uomini del « nella misura in cui », gli uomini inaccessibili alle speranze meravigliose come alle disperazioni. Dalla loro parte (continuerò a farti nomi di narratori, perché mi sono più familiari; forse potrai sostituire ad essi nomi di filosofi, tu che li sai), c'è Conrad, con la sua nera visione dell'universo e la sua fiducia nell'uomo, la sua moralità che nasce dalla pratica d'un mestiere, d'un lavoro - la navigazione a vela - (e ne fa un rigido conservatore, ma chi se non i rivoluzionari possono ormai imparare da lui?), il suo rifiuto a paradiseggiare i tropici, il mare, ch'egli vede come prova alla forza morale e alla tecnica umane. Dalla loro parte c'è Cecov, che rode senza pietà fino all'osso ogni orgogliosa presunzione dell'uomo-piccolo-horghese, (del piccolo-borghesismo umano) ma lo fa per scoprire che sotto, in ognuno, c'è l'uomo da salvare, .cioè per sperimentare l'utilità storica d'ogni uomo, - al di là dei singoli fallimenti - unica dignità umana e salvezza, e dei fallimenti che racconta quel che rimane in mente è lo spiraglio « positivo » che resta aperto nono– stante tutto, come nei suoi paesaggi, negli spiragli di natura che fa intrav- BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy