Cultura e realtà - anno I - n. 2 - luglio-agosto 1950
78 DISCUSSIONI UNA LETTERA SUL «PARADISO» Caro Motta, la tua nota su Il Dio che è fa/lito mi ha suggerito alcune riflessioni. Non entro nel merito della discussione sul libro che non ho letto né credo leggerò (questo dell' « ex-comunista » è uno dei personaggi più uggiosi del dopoguerra: con dietro a sé quel triste sapore d'anni sprecati, e davanti uno squallido destino da beneficiato della Salvation Army che gi– ra le vie con la banda e il coro gridando d'esser. stato ubriacone e baro); m'interessano le cose che dicevi sul paradiso: « Ciascuno infatti può sperare, senza necessario danno per sé e per gli altri, in un paradiso soprannaturale; ma in un paradiso terrestre no, sperare in questo significa perdere ogni intelligenza reale della storia, scegliere per valutarla U1J paradigma privo di senso, condannarsi volontariamente a non trovare mai una patria in cui non sentirsi presto o tardi stranieri». Come succede in questi casi, prima ancora di formulare un giudizio sulla tua affermazione, mi è venuto spontaneo di fare una domanda « auto– critica»: spero in un paradiso, io? Ma ho dovuto faticare un po' a met– tere a fuoco la domanda, a crearmi un'« immagine»; non mi venivano in mente che esempi letterari, di seconda mano, orecchiati. Mi sono accorto che questo concetto di « paradiso » - non dico « soprannaturale », ché su quel piano non sono abituato a riflettere - ma anche « terrestre » era com– pletamente estraneo alle vie solite dei miei pensieri. Provo a rifarmi al caso specifico dal quale siamo partiti: come «vedo» la rivoluzione, il socialismo, la società che auspico e per attuare la quale, « nel mio piccolo », lavoro. Mi venivano alla mente immagini dettate da quel poco d'~sperienza che ho di momenti di risveglio democratico e d'at– tività organizzata e efficiente; momenti in cui in ognuno si moltiplicano gli interessi per ogni aspetto della vita, le comunicazioni con gli altri, e le stesse capacità e intelligenze; tutto ciò portato al massimo grado e divenuto non– provvisorio, ma con effetti tutt'altro che «paradisiaci»: un subisso di cose da fare, di responsabilità, di «grane»; tu che mi credi pigro, riderai. Ciò che mi spinge in questa direzione non è un «paradiso» da raggiungere - mi sembra -, è la soddisfazione a vedere le cose che a poco a poco si mettono a andare nel loro verso, il sentirsi. in una posizione più adatta per risolvere i problemi man mano che si presentano, per « lavorare meglio », BibliotecaGino Bianco
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