Cultura e realtà - anno I - n. 2 - luglio-agosto 1950
DISCUSSIONI 77 posizioni raggiunte e dei problemi aperti che costituiscono il vero, l'impor– tantissimo, lo scottante materiale di ogni seria ricerca contemporanea. E su tale questione non conviene forse neppure insistere oltre. Mi limiterò dunque a dire che alla soluzione di essa si lega anche la soluzione dell'altra questione cui Carocci accenna, e sulla quale vorrei aggiungere due parole: l'Europa. Anche qui, il fatto che Hegel, Marx e poi gli altri siano nati in Europa non è accidentale, e vi sono molte precise ragioni storiche che potrebbero dimostrarlo. Ma ammettiamo pure che lo sia: il fatto resta. Non potremmo certo concluderne che l'Europa sia il medesimo del loro pensiero, né che il loro pensiero solo degli europei siano capaci di concepirlo, né che la sua proprietà sia in ogni modo, per così dire, privata dell'Europa. Ma che per aderire all'attualità storica reale della cultura è proprio del loro pensiero che chiunque deve impossessarsi, questo sì che possiamo conclu– derlo - per forza. Né serve obiettare che da ogni parte, e il più delle volte lontano dal– l'Europa, urgono ormai troppe energie dalla cm novità questo pensiero ~i dimostra alieno e per comprendere pienamente le quali esso si rivela sempre più insufficiente. Che ciò avvenga infatti prova a suo carico una cosa sola: che i suoi limiti sono ormai divenuti, appunto, molto gravi, che la sua insufficienza è ormai divenuta insopportabile, e che si è reso quindi urgentissimo il bisogno di verificarlo, di criticarlo e di svilupparlo. Ma questa è proprio la migliore conferma, se ben ci si pensa, della necessità che ho sostenuto fin dal principio. Ed è inutile dire che questa necessità rimarrebbe imprescindibile anche se per ipotesi 2 • l'Europa come tale, geo-politicamente intesa, non dovesse avere più nulla a che fare con quel futuro di cui certe fprze extra-europee sono spesso così evidenti portatrici. Se è vero infatti quel che ho detto sopra, e che mi sembra difficilmente cohtestabile, il pensiero che noi amiamo chiamare non senza ragione « nostro » ed « euro– peo» non è tale se non in senso, appunto, geo-politico, o comunque mate– riale. In essenza, è il pensiero del mondo. MARIO MOTTA 2 Dico « per ipotesi ». Ma devo aggiungere che secondo me si tratta di un'ipotesi molto improbabile. Basterebbe infatti, lasciando da parte tutte le altre ragioni e te– nendo presente solo quel che si è detto, pensare a ciò, che il grande accumulo culturale è condizione indispensabile della nuova produzione culturale, per comprendere che la funzione anche pratica dell'Europa è ben lontana dall'essere esaurita. BibliotecaGino Bianco
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