Cultura e realtà - anno I - n. 2 - luglio-agosto 1950

72 DISCUSSIONI e per questo, naturalmente, più che mai bisogna dar credito alla ragione e all'efficacia della ricerca. Così almeno io penso. Molti invece pensano il contrario e, partendo dalla stessa constatazione, ritengono che non resti se non abdicare al lavoro culturale e cercare altrove quelle norme di azione che magari essi stessi, sul piano di principio, ammettono non potersi trovare se non nel lavoro culturale medesimo. Ma che questa conclusione sia falsa lo dimostra il fatto che essa non può porsi altrimenti che in contraddizione con quel principio, sul quale io continuo a supporre d'accordo coloro che la traggono. In che cosa consiste allora, precisamente, l'errore? Scartando l'ipotesi di una mera inconseguenza logica, cioè di un puro vizio materiale del ragionamento, l'errore consiste in ciò: nella identificazione semplice di una situazione storicamente determinata della cultura con la cultura, ossia di un certo sistema di strumenti conoscitivi in atto con la potenzialità inde– finita di sviluppo della conoscenza. ·Di qui l'attribuzione logicamente neces– saria dei vizi organici di quel sistema alla conoscenza tout court e la conclusione che la irrimediabile insufficienza della cultura contemporanea implichi di per se stessa l'irrimediabile insufficienza della cultura, l'inuti– lità del lavoro teorico, ecc. ecc. Credo che lo scetticismo di Carocci e di tutti quelli che la pensano come lui (sempre ammettendo che non nasca da una negazione diretta .della funzione specificatrice della ragione rispetto all'azione) derivi da questo errore. E non solo - debbo aggiungere - lo scetticismo di Carocci, ma ogni scetticismo oggi possibile sull'efficacia della ricerca ai fini pratici: anche lo scetticismo di coloro che partono dalla premessa opposta a quella di Carocci, dal rifiuto cioè, invece che dall'ammissione, della crisi della cultura contemporanea. Esistono oggi molti, infatti, che negano questa crisi, numerosi almeno guanto gli altri che la ammettono; e si potrebbero chiamare i «dogmatici» o meglio i «soddisfatti» (sebbene non sempre il loro atteggiamento abbia la tranquillità che è caratteristica della soddisfazione). Sono quelli che danno pacificamente per sbagliate le parti teoriche che non sono le loro, e altret– tanto pacificamente per giuste le proprie. Sono quelli che in un modo o nell'altro reputano questo o quel sistema concettuale già elaborato suffi– ciente a comprendere l'intera realtà. Sono quelli che, qualunque posizio-– ne culturale professino, pensano di avere già conosciuto quel che c'è da conoscere e di non avere quindi altro da fare che applicare la loro scien– za (spesso anzi questi dogmatici concepiscono l'azione proprio come esse11- zialmente protettiva del loro « già conosciuto » - i difensori dei vari « patri- BibliotecaGino Bianco

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