Cultura e realtà - anno I - n. 2 - luglio-agosto 1950
10 CESARE PAVESE avere ancor risolto criticamente il mito ispiratore. Del resto, dire stile è dire cadenza, ritmo, ritorno ossessivo del gesto e della voce, della propria posizione entro la realtà. La bellezza del nuoto, come di tutte le atti., vità vive, è la monotona ricorrenza di una posizione. Raccontare è sen– tire nella diversità del reale una cadenza significativa, una cifra irrisolta del mistero, la seduzione di una verità sempre sul punto di rivelarsi e sempre sfuggente. La monotonia è un pegno di sincerità. Ciascuno ha il suo gorgo, e basta che vi palpiti dentro l'estrema tensione di cui la sua coscienza è capace: raccontare vorrà dire lottare per tutta una vita contro la resistenza di quel mistero. Di rado un creatore farà in tempo a dissolvere il suo mito e cadere in preda a un altro; esso è troppo con– naturato alle sue facoltà - ricordi, abitudini, elezioni -- perché, nono– stante i maggiori sforzi stilistici per vincerlo, gli riesca di totalmente abolirlo. Sarebbe in gran parte come abolire se stessi. Se il mito non si risolvesse e vivesse nello stile, forse si potrebbe nel corso di una vita superarlo ma esso allora s~rebbe una semplice posizione conoscitiva, un principio o una formula del reale. Esso è anche ma non soltanto questo, ma un mito conoscitivo non è ancor nulla, bisogna viverlo. Naturalmente succede che certi narratori pensano in certo modo la realtà, la spiegano secondo un dato sistema, ma poi la soluzione stili~ stica che le danno narrando è tutt'altro, presuppone elezioni ricordi per– plessità irrisolte. Va da sé che quella verità professata non morde a fon– do, non li fa vivere affatto. Di solito le dichiarazioni esplicite di un narratore - di qualunque uomo - dicono poco sul suo mito, sul senso dei suoi simboli; è evidente che, se l'autore avesse chiaro tutto il gioco della sua mitologia, questa non sarebbe più che un gioco, una scienza di poi - le mancherebbe quell'irriducibilità che la fa appunto vestirsi di simboli. Esiste a questo proposito, tutta un'amabile provincia di narratori, i quali applicano senza troppo crederci modi simbolici del passato - la magia, l'arbitrio divino. Solitamente ironizzano (Cabell), qualche volta si atteggiano (Powys, Yeats, Lisi), rarissimo fanno poesia (Kafka). Sono, nel loro insieme, una moderna incarnazione di quel « meraviglioso » dei poemi cavallereschi che perdurò, nostalgia formale borghese, da un mondo espressivo prelogico. Occorre un robusto e sincero buonsenso per non abbandonarvisi scambiando la forma per la sostanza. Non sempre w1 volto mitico reca scritta in fronte la sua natura - quando fosse, per ciò solo esso apparirebbe sospetto: una soluzione simbolica è sincera proprio in quanto ha risolto in sé tutto lo scibile dell'epoca e perdura - BibliotecaGino Bianco
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