Cultura e realtà - anno I - n. 1 - maggio-giugno 1950
92 NOTE Questo è appunto ciò che non fa la critica italiana d'oggi. Alla quale non si vuole contestare coerenza e meriti storici e matura civiltà: ma dar conto di quel sospetto di superfluità che sulla sua funzione si fa ogni giorno più insistente. Attenta, comprensiva e ricca d'interessi può sembrare la critica italiana a chi la sorprenda in quel suo abituale atteggiamento, a sguardo aguzzato e orecchie tese. E attenta è, difatti, lo sguardo aguzzato sulla pagina, le orecchie tese a un proprio concetto ideale di perfetta inten– sità di lettura e di significati: dove pagina ed eco ideale si sovrappongono, là il critico trova i suoi momenti e annota. Ne risulta però una critica tutta segni marginali, che può approvare o biasimare riga per riga il testo ma solo attraverso l'addizione di questi segni ottiene un giudizio generale. Forse a una nozione e a una pratica della letteratura come frammento lirico, una tale critica rispondeva pienamente. Oggi le opere maggiori, però, sono spesso le più corpulente, le più impastate di carne e terra; libri come La romana, Le donne di Messina, Prima che il gallo canti, potrebbero dare occasione a una saggistica che tocchi ed agiti tutte le conoscenze e i dubbi contemporanei, che dia fondo a un'epoca. Invece ha mosso solo - nei casi più fortumJti - indirizzi di simpatia, riflessioni di comprensione morale, oppure - non di rado - chiose evasive e sbrigative. Perché qui non vo– gliamo ribadire i temi d'una generica polemica antiformalista, far questio– ne dei fondamenti teorici di questo o di quel metodo. La cosa che ci sembra vada detta con urgenza è che la critica muore se continua a perdere in « am– piezza», cioè se non ha un angolo visuale abbastanza ampio da compren– dere il suo oggetto, la letteratura. Infatti, anche dove la critica tiene a notazioni più morali o storiche o di costume che stilistiche, al « contenuto » più che alla pagina, l' « am– piezza» non è diversa; è sempre un giudizio da degustatore di vini, dato concentrandosi a assaporare il sorso. (Dirò solo per inciso - perché non a loro è diretto questo discorso, e perché si tratta per ora più di intenzioni che di risultati già inseriti nella nostra storia culturale - dei pericoli simili in senso opposto che corre chi - per andare fino in fondo nel capo– volgimento delle valutazioni tradizionali e riconoscendo come unico criterio di giudizio non opinabile il rapporto dei testi con la società e la storia -, viene preso dalla paura del testo, e si limita a discorsi che non riescono mai a entrare nel merito, che girano attorno al libro e non lo acchiappano mai. Se quelli di cui prima dicevamo non riescono a sollevarsi d'un palmo dal testo, questi ne rimangono costantemente chiusi fuori). La critica attuale è, insomma, come quella del classicismo accademico, BibliotecaGino Bianco
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